Lambrusco: belle certezze ma si può e si deve crescere4 min read

E veniamo a presentare ed a commentare i risultati dei nostri assaggi. Per controllare i risultati azienda per azienda potete cliccare sul link alla base della pagina. Qui parleremo più in generale, cercando di fotografe “l’universo lambrusco” come è apparso dopo aver degustato quasi settanta vini (66).

 

Almeno due premesse sono d’obbligo: la prima è che il mondo del lambrusco non si esaurisce certo in una settantina di vini. Accanto a quelli assaggiati ce ne sono molti altri e, quasi sicuramente, una buona parte è di livello inferiore (solo una delle più grosse aziende del settore produce 18 milioni di bottiglie…) rispetto alla media dei nostri campioni. La stessa cosa, cioè il riuscire a fotografare solo la punta dell’iceberg, succede però anche in altre denominazione e tipologie molto più blasonate.

Veniamo adesso al dato statistico, cioè alla media matematica dei vini degustati: 2,33 stelle. Questa media è assolutamente nel range delle tipologie da noi degustate. Non voglio fare nomi per non innescare antipatici paragoni ma vi garantisco che questo punteggio medio pone i lambruschi diciamo  a “metà classifica” e non certo nel ruolo di fanalino di coda della qualità.
Due vini con quattro stelle, quattro con 3.5 e ben diciannove con 3 mostrano chiaramente un buon numero di vini di alta qualità a cui fanno da cornice undici campioni con 2.5 stelle che confermano il dato .

Non scopriamo quindi l’acqua calda nell’affermare che ci sono (da tempo ) lambruschi di alta o di altissima qualità. Messo questo chiodo nel muro del riottoso mondo del vino di punta italiano vediamo di  analizzare come stanno a qualità  le varie denominazioni presentate.

Partiamo dal Sorbara, dai suoi colori eleganti, dai suoi profumi floreali, dalla sua ritrosa austerità al palato: tra i campioni assaggiati non abbiamo trovato le eccellenze del nostro assaggio ma nemmeno  uno dei vini peggiori. Il Sorbara ha mostrato una qualità media piuttosto alta e sicuramente costante. Praticamente tutti i vini sono stati nel range tra 2.5 stelle e 3. Abbiamo apprezzato soprattutto le note aromatiche che, partendo da classici profumi fruttati si allargavano verso aromi di rosa, salvia, rabarbaro, mostrando una complessità di buon livello.

Se passiamo ai Grasparossa, di Castelvetro la situazione, come del resto il vino, cambia non di poco. Se Sorbara è l’eleganza e la compostezza, i Castelvetro sono l’opulenza e la gaiezza. In questo mondo molto meno “Oxfordian-sorbaresco” ci stanno i picchi e qualche  abisso. Aldilà dell’andamento più altalenante ci aspettavamo mediamente qualcosa di più da questa denominazione che diverse volte ha il suo limite in quello che dovrebbe essere il suo maggior pregio: il naso. Aromi spesso indecisi, non chiaramente connotati sulle classiche poderose ondate di frutta nera e rossa li abbiamo trovati più volte, spesso affiancati ad una indecisa cremosità. Insomma: Alcune belle interpretazioni ma tanti che potrebbero migliorare.

Sul Reggiano e sulla sua opulenza potremmo dire quasi le stesse cose del Grasparossa, solo molto più spostate verso l’alto e verso quei profumi e quella cremosa freschezza che fanno l’unicità di questi lambrusco. Stavo per scordarmi la piacevolezza, che in un vino del genere è basilare. Un buon reggiano (e ne abbiamo testati diversi) ti fa venire voglia di avvicinarti al mondo del vino.

Nel variegato mondo degli Emilia IGT, dove le varie cultivar di lambrusco si intersecano in uvaggi diversissimi possiamo, oltre a ribadire diversità che qui hanno anche più ragione di esistere,  solo notare che  il mondo delle cooperative non esce battuto dal confronto con i piccoli produttori, tutt’altro. Questo lo abbiamo constatato anche nelle altre denominazione ed è un piacere constatare che la cooperazione, oltre che sfornare numeri, presenta anche qualità.

Delle altre denominazioni non posso parlare perché i campioni erano talmente pochi da non permettere estrapolazioni generali.
Chiudo con una promessa: un bel giro nei vigneti di lambrusco per toccare con mano le varie cultivar e le loro differenze : dal Sorbara al  Maestri, al Grasparossa, al Salamino, all’Oliva, al Marani. Un mondo che, grazie anche all’aiuto del nostro Giovanni Solaroli (Sola! Non fare orecchie da mercante..), merita di essere visitato e conosciuto a fondo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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