La notte in cui il tiolo usci dalla tomba5 min read

In principio fu la Nuova Zelanda. Agli inizi degli anni novanta i Sauvignon prodotti nella zona di Marlborough venivano osannati come figli di un terroir particolare, unico, che concedeva aromi allora impensabili, con note che non si fermavano ai classici profumi vegetali, di peperone  o addirittura all’italianissima pipì di gatto, ma spaziavano verso orizzonti  incredibili, arrivando fino al pompelmo e al frutto della passione.

Fior di giornalisti internazionali inneggiarono a questo terroir baciato da dio, salvo poi scoprire che non di questo si trattava ma molto più semplicemente di un sistema di vinificazione che permetteva a delle sostanze aromatiche presenti nella buccia del Sauvignon di liberarsi in quantità industriali. Volgarmente e genericamente vengono chiamati tioli ma quelli che, se giustamente titillati, esprimono vagonate di aromi pompelmati e fruttopassionati si chiamano: 4-mercaptometilpentanone (4-MMP) e 3-mercaptoesanolo (3-MOH).

Questi signori, pur trovandosi da sempre nelle cellule della buccia giacevano tranquillamente nella loro “tomba” enoica fino a quando, con sistemi che si possono rozzamente definire col termine “iperriduzione” (che ha bisogno di temperature basse, assenza o quasi di contatto con l’ossigeno in tutte le fasi della vinificazione, utilizzo di sostanze come enzimi  o lieviti che stimolano la loro fuoriuscita in grosse dosi etc.) non vennero svegliati dal loro sonno, portati nel mosto e da lì nel vino finito a “miracol mostrare”.

Tutti d’accordo nel  considerare questo un grosso passo avanti per la vinificazione del sauvignon, anche perché di un passo avanti puramente tecnico si trattava e quindi esportabile in tutto il mondo…purtroppo.

Se fossimo stati in un film horror la fase neozelandese avrebbe potuto avere come nome “Non aprite quel tiolo”. E Come in ogni film dell’orrore che si rispetti l’arrivo del metodo per dare vita al tiolo ha avuto prima solo alcune apparizioni,  presenze passate quasi sotto silenzio:  un catarratto qua, un vermentino là, per poi arrivare alla “notte in cui tutti i tioli uscirono dalla tomba, pardon dalla buccia”  …. ma andiamo con calma.

Il bello ( o il brutto…dipende)  dei nostri 4-MMP e  3-MOH, nonché di alcuni fratelli dai nomi altrettanto difficili è che sono stati trovati anche in altre uve a bacca bianca. Sicuramente l’elenco è incompleto ma si ritrovano nel verdicchio, nella garganega, nel vermentino, nel catarratto, probabilmente nel friulano e…naturalmente nel Sauvignon.

Per questo motivo stiamo assistendo ad una vera e propria rivoluzione aromatica che colpisce una bella fetta dei bianchi italiani. Basta che una cantina si doti di una tecnologia neanche tanto costosa ed ecco spuntare pompelmi e frutta della passione in vini che fino a ieri mostravano fini note floreali oppure frutta bianca. Il bello è che questi aromi tiolati coprono completamente gli altri, presentando così un panorama di bianchi praticamente omologati dall’Alto Adige alla Sicilia. Poco importa che i nostri tioli usciti dalla buccia, non siamo molto stabili e tendano a deperire facilmente, nei primi mesi di vita di quel vino lo marcano in maniera indelebile.

Abbiamo iniziato da pochi giorni ad assaggiare i bianchi del 2012 e la situazione è chiara: pompelmi nel Soave, nel Vermentino ligure, nel verdicchio…e abbiamo ancora la stragrande maggioranza dei bianchi davanti a noi.

Ora, per non essere tacciato di osteggiare lo sviluppo della scienza faccio un passo indietro. Cinquanta anni fa i bianchi che ho citato (nonché molti altri) non avevano certo, tioli a parte. i profumi di adesso. Spesso raggiungevano velocemente note di buccia di mela matura perché si ossidavano in fretta;  è stato  solo grazie alla tecnica che si è potuto permettergli di vivere una vita di soddisfazioni (per noi ovviamente).

Mi ricorderò sempre del Trebbiano o della Vernaccia di san Gimignano che producevano negli anni sessanta contadini in zona. Vino giallo perché vinificato con le bucce e con  profumi dove quello di buccia di mela era di gran lunga il migliore (assomigliavano a tanti vini cosiddetti  naturali di oggi, ma questo è un altro discorso). Dato che ben pochi avevano il coraggio di berli,  regolarmente venivano messi nel pastone degli animali da fatica quando si ammalavano.

Da allora il mondo dei bianchi italiani ha fatto passi avanti da gigante e se alcune omologazioni aromatiche ci sono state diciamo che era un dazio da pagare.

Oggi però la situazione è diversa: i nostri cari tioli rischiano di far perdere la testa al consumatore, che si ritrova valanghe di aromi indubbiamente piacevoli, netti,potenti e facilmente riconoscibili  in vini IGT-DOC e DOCG di varia provenienza. Questi aromi ottenuti a buon mercato, possono portare a maggiori fette di mercato e invogliare sempre più produttori a seguire quella strada.

Tutti liberi di farlo per carità, ma poi non lamentiamoci se la Cina ci fregherà grosse fette di mercato producendo ad un quarto dei nostri prezzi vini che strabordano di pompelmo e frutto della passione. Non lamentiamoci se  ci verrà rinfacciato una mancanza di tipicità. Non lamentiamoci se per tornare indietro verso una maggiore caratterizzazione territoriale ci vorranno anni di lacrime e sangue. Non lamentiamoci se, parlando di terroir italiani, tanta gente dalla Francia in giù si metterà a ridere sguaiatamente.

Non lo nego: i vini fatti in iperriduzione mi piacciono e li bevo anche volentieri ma di fronte al dilemma che noi di winesurf ci poniamo “Questo vino è rispondente all’uva da cui proviene?” mi trovo in difficoltà.

Vi prego, aiutatemi!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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0 responses to “La notte in cui il tiolo usci dalla tomba5 min read

  1. Tutto vero, ma bisogna dire che non è cosଠscontato, nel Sauvignon bianco gli aromi compaiono perché nell’uva ci sono dei “precursori di aromi” che vengono successivamente liberati da tecnica ( e soprattutto d LIEVITI ). Voglio fare il cattivo, ma non è che alcune aziende giocano sporco e effettuano tagli con vini foresti ?

  2. caro Marco, non mi sono messo a spiegare dei precursori perchè poi avrei dovuto parlare di “precursori di precursori” e la faccenda diventava troppo tecnica. Sulle cisterne di sauvignon che dire…..si trattasse di vini che costano di più del sauvignon potrebbe anche essere ma di solito costano meno e, viste le dosi che ne occorrerebbero sarebbe come tagliare una cisterna d’acqua con una cisternina di Petrus..

  3. E’ nato prima l’uovo o la gallina ?. Il tuo bell’articolo Carlo rinfresca l’antico dubbio su quanto il vino sia fatto in vigna o in cantina ( inteso anche nella sua accezione più nobile e quindi senza trucchetti o scorciatoie ), o meglio su quanto sia difficile stabilire se l’asticella sia più spostata da un lato o dall’altro.
    Basta cambiare non di tantissimo uno stile di vinificazione e il vino cambia … con buona pace, credo, di quelli che con sicurezza matematica dicono che quel profumo derivi SICURAMENTE dal quello specifico luogo

  4. Dimenticavo , per i vini Doc esistono sempre i controlli analitici e sensoriali, purtroppo quasi mai vengono bocciati vini per non rispondenza ci disciplinari .

  5. Togli il quasi. Nella scheda per DOC e DOCG non esiste uno spazio per la tipicità , quindi un vino può essere bocciato o fatto rivedibile solo per difetti.

  6. Non molto tempo fa assaggiai proprio uno di quei Sauvignon di Marlborough, tappo a vite. Intensità  aromatica tripla di un gewurz. Finito il vino, riattappai la bottiglia. Il giorno dopo la riapro e annuso. Non si sentiva niente. Niente di niente. Come se ci fosse stata dentro l’acqua. Aiutami tu, Carlo

  7. Leggo solo oggi l’interessante articolo. Grazie al link di Carlo sulla degustazione Lugana.
    TIPICO cosa vuol dire……… se uso le uve dsel disciplinare ma lieviti e vinificazione moderna sono ancora “tipico”. Alcuni disciplinari sono degli anni ’70 e ’80, vorreste bere oggi i vini di allora? Il vino fatto in vigno o in cantina mi sa da caccia alle streghe…. Il vino DEVe essere fatto in vigna E in cantina. Troppi produttori hanno uva magnifica e la rovinano in cantina. Per una volta, in questo articolo, sono daccordo con il Macchi.

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