InvecchiatIGP. Montevetrano 1999 e 19935 min read

In questa rubrica non parleremo dei problemi geriatrici di qualcuno di noi (anche se sarebbe utile). Il nostro intento è quello di andare a scovare e raccontare i vini italiani “non giovanissimi”. Abbiamo pensato a questa dizione perché non parleremo quasi mai di quelli che vengono definiti “vini da grande invecchiamento” ma cercheremo sorprese, chicche, specie tra vini che nessuno si aspetterebbe.

Man mano che passano le stagioni il vino diventa oggetto del racconto vero, liberandosi come le farfalle dal bozzolo dei racconti costruiti dagli uffici stampa e dalle ossessive note tecniche che lo accompagnano alla sua nascita. Se è vero che le abitudini stanno cambiando, un grande vantaggio costituito dalla rivoluzione enologica italiana post metanolo è proprio la possibilità di affrontare il tempo, attraversare i decenni e riempire il sorso di sensazioni e di ricordi. Soprattutto quando poi l’allungo diventa notevole.
Ed è in quel momento che allora cambia anche il modo di bere. Mi ritrovo nel porticato della casa di Silvia Imparato esattamente trent’anni dopo la mia prima visita da lei. Era all’epoca reduce dallo strabiliante punteggio di Parker’s al suo 1993 che fu il suo surf per cavalcare l’onda trionfale vitivinicola di quel periodo che in qualche modo accomuna tutti noi che usavamo la macchina per scrivere e ascoltavamo strabiliati gli strani fischi dei primi collegamenti internet ai cascioni, che ingombravano le scrivanie ancora pieni di fogli e appunti sparsi nei cassetti.

Una cena di fine estate, c’è la figlia Gaia che è tornata alla base dopo il lockdown, Bruno De Conciliis e signora, la loro figlia Marta e, guest star, mia sorella Paola. Penso, mentre Silvia prepara uno spaghetto con aglio, olio e capperi, a quanta gente straordinaria è arrivata sul dosso di questa collina per provare il suo vino, pensato con Riccardo Cotarella quasi per gioco in una Campania che all’epoca, a parte Mastroberardimo, D’Ambra e Moio non aveva etichette da giocarsi nelle conversazioni degli appassionati.

Silvia Imparato

Fu questo il primo miracolo della “signora in rosso” come facilmente titolai sul Mattino quella prima intervista. La serata scorre velocemente, da buoni meridionali, non abbiamo in conto sveglie l’indomani mattina e anche se le avessimo, mai sostituiremmo il sonno alla compagnia. Quello si recupera, i rapporti umani regalano invece momenti unici e irripetibili, come il sorso delle due annate iconiche che Silvia e Gaia hanno scelto per questa cenetta: il 1993, e a questo punto avete anche capito perché, e la 1999 che, ricorderete, è stata una annata di Montevetrano come per quasi tutti i rossi italiani, eccezionale, forse l’ultima vera grande vendemmia prima di quelle del global warming.

I due vini vengono versati contemporaneamente ed ecco che così si ristabilisce un rapporto diretto, immediato, che non è mai il risultato della semplificazione, ma delle complicazioni risolte grazie allo studio e magari anche grazie a qualche intuizione fortunata. Non avevo dubbi (ricordo che parliamo di merlot, cabernet sauvignon e solo successivamente un po’ di aglianico) sulla tenuta del vino, ma non me lo aspettavo così buono. Per certi versi il più vecchietto, 32 anni ormai, addirittura più arzillo e scattante del 1999, annata perfetta e compiuta. Esiste in realtà anche il 1992 e perfino un 1991 non etichettato, davvero una vendemmia fatta fra amici tra cui alcuni della banda del Goccetto di Roma. Ma per convenzione comune l’avventura parte proprio nel 1993 con l’apertura di un ciclo che adesso si trova ad uno snodo particolare ma di cui ci sarà altra sede e occasione per approfondire.

Montevetrano

Era epoca di sostanza, quando si iniziava a fare vino non si parlava delle pratiche del nonno e del bisnonno, ma si aveva come riferimento sempre il top, valeva per Antinori con il Tignanello come per il Montevetrano che allora iniziava la sua storia.
La 1993 bevuta fra amici, discorrendo di haters, Gaza, letture con il giusto pizzico di pettegolezzi, conferma comunque che Belzebù Parker di vino ci capiva, e ci capisce, se il bicchiere realizzato da Belzebù Cotarella è ancora perfetto, ancora con spunti di frutta, nota fumé appena marcata, fresco e pieno al palato, commiato finale interminabile che impone la voglia di proseguire.
Queste serate mi convincono sempre più che per fare qualcosa di significativo oggi bisogna rallentare mentre tutti corrono, avere mistero invece di raccontare tutto in qualche reel scosciato o assertivo al servizio dell’algoritmo. Perché il nocciolo del problema non è fare prima e farsi ascoltare da quante più persone possibile, l’artigiano deve prendersi il tempo giusto e parlare agli interlocutori capaci di capire il suo lavoro.
Il 1999 appare a questo punto un contemporaneo, come è detto, addirittura meno vibrante del precedente, ma comunque vivo, in perfetta forma, lungo, fantastico.
Bisognerà riflettere nuovamente su questi vini degli anni ’90, capire perché adesso conservano un fascino poi dimenticato nell’era del web. Sono le due, i bicchieri sono vuoti. Lasciamo la collina che ha raccontato questa fiaba per oltre tre decenni a tutto il mondo illuminati dalla luna, appagati, felici di aver vissuto e di poterlo ancora raccontare.

Luciano Pignataro

Luciano Pignataro è caporedattore al Mattino di Napoli, il suo giornale online è Luciano Pignataro Wineblog.


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