InvecchiatIGP: Luce della Vite 2007, per allontanare ogni pregiudizio3 min read

In questa rubrica non parleremo dei problemi geriatrici di qualcuno di noi (anche se sarebbe utile). Il nostro intento è quello di andare a scovare e raccontare i vini italiani “non giovanissimi”. Abbiamo pensato a questa dizione perché non parleremo quasi mai di quelli che vengono definiti “vini da grande invecchiamento” ma cercheremo sorprese, chicche, specie tra vini che nessuno si aspetterebbe.

Guardare le cose da una diversa prospettiva è sempre utile. Ancora più utile è capire come una medesima prospettiva possa mutare se cambiano le premesse di osservazione.

Mi ricordo bene, ad esempio, quando con non poco clamore fu presentata la partnership tra Frescobaldi e Mondavi e la nascita del progetto Luce in quel di Montalcino. Erano i primi anni ’90.

Altri tempi, altri vini e soprattutto altri vitigni. Anzi no, erano sempre gli stessi: Sangiovese e Merlot. A essere differenti erano le prospettive generali del vino, orientate alla pomposa muscolarità che all’epoca sembrava una via imprescindibile per il domani.

Poi tutto, lentamente, è cambiato. Ovunque.

Nello specifico, nel 2004 il rapporto societario coi californiani si sciolse e alla guida della storica azienda fiorentina salì il figlio di Vittorio, Lamberto.

Sono mutati anche i gusti, le tecniche, le filosofie, le vigne e perfino, forse i suoli.

In me però faticava a mutare una certa diffidenza verso certi prodotti di grande eleganza ed anche di grande struttura, rassicuranti per adesione al mainstream, pensati senza infingimenti per un pubblico internazionale e ineccepibili sotto il profilo qualitativo, ma che spesso trovavo un po’ noiosi.

In occasione della recente presentazione di Lucente 2021, “fratello minore” del Luce,  assieme al 2018 mi sono trovato nel bicchiere anche il 2007 e l’ho assaggiato con attenzione.

Allo sguardo è di un rubino scuro, intenso, dall’unghia appena aranciata.

Al naso, una volta fatto respirare bene, si libera nelle note terziarie più marcate rivelando il frutto e imboccando il piacevole piano inclinato di una balsamicità agile ed elegante, che sconfina in note di resina, di pigna, di macchia mediterranea asciutta. La parte migliore è tuttavia in bocca, dove la grande ampiezza del vino colpisce per un’eleganza quasi eterea, setosa, frusciante e inattesa. E con una lunghezza quasi leggiadra che lo allontana da ogni mio pregiudizio.

E alla fine scopri con piacere che la somma delle note prese fitte fitte sul taccuino è più che lusinghiera.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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