Interviste Covid-19. Ampelio Bucci: “In questo momento, se fossi ministro, per prima cosa eliminerei la burocrazia!”12 min read

Accanto alle interviste ai Presidenti di Consorzio abbiamo pensato di aprire un nuovo “canale”, sentendo il parere di alcuni “Grandi Vecchi” del vino italiano. Iniziamo con Ampelio Bucci, che non ha certo bisogno di presentazioni.

Winesurf  “Buongiorno Ampelio, prima di tutto come stai e dove sei?”

Ampelio Bucci “Buongiorno a te. Sono chiuso in casa a Milano e sto bene, mi portano praticamente tutto a domicilio. Giù in azienda stanno tutti bene e possono lavorare con tranquillità. Anche le vigne stanno bene. Quindi sotto questo punto di vista tutto a posto.”

W. “Ho preparato per te delle domande strane, d’altronde se non le faccio a te a chi le faccio.”

A.B. “A proposito di cose strane o che mi ha fatto girare le scatole. Stamani mi è arrivata una mail dal Giappone dove mi dicono che anche da loro è tutto bloccato e che non dobbiamo spedire un ordine. Peccato che l’abbiamo già spedito! Ora ci toccherà cercare di bloccarlo da qualche parte. C’è un blocco totale in tutto il mondo per il settore Horeca, che per noi è il 90% del mercato.”

W. “Si dice che siamo in guerra, che è e sarà come dopo la seconda guerra mondiale. Tu, che hai vissuto il dopoguerra e quindi puoi parlare a ragion veduta, E’ proprio così oppure si esagera perché non siamo più abituati a soffrire o ad avere restrizioni?”

A.B. “Essendo del 1936 la guerra e il primo dopoguerra me li sono fatti e fatti bene, ma questa è una cosa nuova. In guerra sapevi chi era contro di te ma non c’è mai stato tutto il mondo contro se stesso, senza avere ancora una linea precisa da seguire. Comunque mi sembra incomprensibile che il rallentamento dei contagi che c’è da noi ci sia anche in molti altri paesi dove il Covid-19 è partito dopo: forse essendo stati i primi qualcosa l’abbiamo sbagliato e prima o poi verrà fuori.  Del resto io sono l’identikit perfetto di quello che doveva essere già morto, quindi per ora a me è andata bene.”

 W. “A proposito di pandemia, Pan è il dio greco della campagna, della vita agreste e non per niente ha corna e piedi caprini. Forse è la rappresentazione migliore di come l’uomo deve convivere con l’animale e la natura, in questo caso però la natura si è rivoltata contro di noi. Dove abbiamo sbagliato?”

A.B. “Secondo me l’errore è iniziato in passato! Non hanno sbagliato gli agricoltori ma l’industria che ci ha aggredito e illuso. Sono vecchio e mi ricordo gli anni 50 e 60 quando ci hanno convinto a buttare nei campi tanti di quei concimi inutili. Nel nord Italia è stata buttata atrazina nei campi, un veleno che resta lì, non si degrada. Era una macchina ben organizzata per convincerci ad usare di tutto. Concimi complessi, fosforo etc. Metà è rimasta nel terreno e metà è andata nei fiumi. Io sono un agricoltore, sono nato come agricoltore, anche se ho fatto altri mestieri per vivere agricoltore sono rimasto. Per fortuna negli anni ottanta il mondo, anche quello del vino,  è cambiato ed ha iniziato ad apprezzare il buono e il bello.

W. “Comunque Il tuo destino, col nome che porti, era segnato fin dalla nascita.”

A.B. “E’ divertente la storia del mio nome, che non mi è stato dato per quella ragione ma per una forma di protesta contro la Chiesa. Negli anni ’30 del secolo scorso molti mettevano nomi strani ai figli pur di non mettere nomi di santi del calendario e per questo me ne misero uno così particolare. Solo dopo ho scoperto che Ampelio vuol dire “quello che fa il vino”.”

W. “Torniamo agli errori fatti”

A.B. “Quello che è stata fatto contro la terra è incredibile e la terra in qualche modo reagisce: non per niente di pandemie ne viene fuori una ogni 4-5 anni. Le altre le han bloccate sul nascere o quasi, ma questa è tremenda e nel futuro non vedo perché non debbano scoppiarne altre. Se continuano a questo ritmo sono peggio delle guerre, anche se dirlo è molto comodo perché abbiamo solo questo come esempio da contrapporre. Però In  guerra sai chi hai di fronte  come nemico, qui il nemico potrebbe essere il primo che incontri scendendo in strada.”

W. “Un mio caro amico, fondatore di Slow Food e che purtroppo ci ha lasciati, Pierlorenzo Tasselli,  qualche anno fa durante un congresso Slow Food richiese “la moratoria del genio”. Cioè  invece di rilanciare continuamente occorrerebbe solidificare e rendere migliore e ben organizzato  quello che facciamo. Il mondo del vino italiano adesso avrà bisogno di una “moratoria” o servirà il genio italico per uscire fuori dal pantano?”

A.B. “Il mondo del vino ha bisogno in primo luogo di una moratoria governativa, composta da varie soluzioni, a seconda del tipo di vino, d’imprese, di aziende che ci sono. Io sono un piccolo produttore che ha il piacere di avere la terra come amica e devo fare una mia strategia, completamente diversa dalle varie idee che stanno girando. Da un lato l’idea della vendemmia verde per me è raccapricciante, come fai a buttare via la metà del prodotto che hai fatto. Dall’altra la distillazione a 0,30 centesimi: ma come?  Hai lavorato un anno in vigna e poi alla fine il frutto del tuo lavoro va a fare alcol? Io non posso farlo. Forse fallirò ma io nel 2020 voglio e devo fare la migliore vendemmia che io abbia mai prodotto.”

W. “Da laureato e esperto  in economia,  insegnante di strategie aziendali e professore universitario  nonché da produttore di vino, se ti facessero sia ministro dell’agricoltura che dell’economia quali misure adotteresti per il mondo del vino?”

A.B. “Premessa: come diceva Manzoni sul dare risposte, per parlare bisognerebbe prima riflettere, quindi W. pensare e poi parlare, mentre invece tu mi fai una domanda complessa e io rispondo subito, così potrei dire delle stupidaggini.”

W. “E’ il rischio delle interviste. Quindi che misure adotteresti?”

A.B. “Eliminerei di colpo tutte le pastoie burocratiche, non solo statali, che creano problemi indicibili. Partiamo dal presupposto che se sbaglio pago (ho la terra e se la potrebbero prendere) oppure vado in galera ma prima lasciatemi fare le cose.  I costi e i tempi burocratici sono incredibili e adesso sembrano non aver capito che esiste qualcosa come il coronavirus ed io e altre migliaia di produttori  non hanno più clienti nel mondo. C’è un vecchio detto che definisce Il burocrate “una persona che mette le mani avanti per salvarsi il didietro e chiama senso di responsabilità il suo rifiuto di prendersi delle responsabilità”. Questo purtroppo è vero.  Tolta la burocrazia, i suoi costi, le sue pastoie che portano a costi, si sarebbe già fatto molto.”

W. “Tra le molte cose che hai fatto nella vita hai fondato, diretto, partecipato a scuole di marketing, corsi di businness,  lavorato nel settore della moda, insegnato all’università, quindi hai dimestichezza da anni con queste materie . Perché allora Villa Bucci sembra l’opposto per quanto riguarda il marketing, almeno come viene inteso oggi, e non ha mai seguito una moda che fosse una?”

A.B. “Nel 1992 scrissi un libro con un titolo bellissimo “L’impresa guidata dalle idee”.  Oggi ho la fortuna di fare Verdicchio, ma in passato la viticoltura era solo una serie infinita di  investimenti.  Se non ci fosse stata l’esplosione del bello e del buono a fine anni ‘60, avrei continuato a fare altri lavori per campare. Dopo il 1968 è cambiato il modo di vivere e da allora sono emersi gli aspetti sensoriali e estetici:  in quel momento sono partiti alla grande  moda, arredamento, design, è iniziata una vera rivoluzione nei consumi. Mi son trovato, per un colpo di fortuna, vicino ai grandi nomi della moda. Posso dirti che non è vero che seguono la moda, loro l’anticipano e inoltre lo fanno attraverso un loro stile. Si parla di moda ma Armani è uno stile, Versace è uno stile completamente diverso come Ferré o Romeo Gigli. Quello che io ho cercato di fare nel vino è quello di creare uno stile e un marchio, e per farlo l’unica cosa è la grande stabilità e fermezza. Salto le annate di Villa Bucci (la Riserva n.d.r.) quando non sono al livello del nome di quel vino  e questo nella comunicazione è un messaggio molto forte perché rafforza l’idea non tanto di una ricerca di qualità ma di una linea dritta, precisa, chiara. Questo è il vero marketing oggi, non certo quello di seguire le mode. Poi può andare anche male ma comunque quella è una direzione verso cui andare, naturalmente se sei un piccolo produttore. Noi facciamo 120.000 bottiglie da venti anni e non abbiamo più piantato vigna da moltissimi anni. Io ho semplicemente adottato il metodo seguito dalla moda o dal design. Del resto pensa ai grandissimi del vino come Gaja,  Valentini, pensa a Gravner. La loro linea è dritta, chiara e precisa da sempre.”

W. “A proposito di grandi personaggi, avrei una domanda su un grande personaggio:  il suo nome è, anzi era Giorgio Grai, mancato qualche mese fa.  Credo fosse un tuo caro amico e uno storico collaboratore di Villa Bucci. Puoi dirci due parole su di lui?”

A.B. “Te ne dico non due, di più! Lui è stato il mio maestro su come, nel vino, riuscire a seguire una linea retta. Era un personaggio insopportabile, tant’è vero che nessuno è riuscito a lavorare con lui per diversi anni, tranne me. Io ho una pazienza e una tenacia notevole. Posso dire di essere stato l’unico che è riuscito a gestire la sua genialità, che poteva anche dare molto fastidio. Lui era spesso  aggressivo con le persone ma solo perché voleva capire fino in fondo se credevi in lui. E io ho creduto in lui fino al punto di non imbottigliare fino a quando non veniva ad assaggiare il vino. Abbiamo lavorato assieme quaranta anni, siamo stati amici-nemici per una vita. Ci ha insegnato a fare gli assemblaggi, perchè sia sul base che sul Villa Bucci non abbiamo mai imbottigliato un vino proveniente da un solo vigneto. Quando assaggiava non diceva niente: arrivava in cantina, assaggiava, poi mescolava un po’ di quello e un po’ di questo e alla fine trovava tre o quattro possibili blend e a quel punto mi diceva “Scegli tu!” e alla fine dovevi scegliere. Se ci pensi questa è proprio la funzione del maestro, farti  scegliere.”

W. “Ma adesso che lui non c’è più come fai?”

A.B. “Se uno in cinque anni impara ad aprire un corpo umano e diventa chirurgo, figuriamoci se  dopo quarant’anni che fai il vino non riesci a capire come prendere il meglio da quello che produci. Comunque mi da una mano una persona che stimava moltissimo i vini di Grai, Gianni Gasperi.”

W. “Ma sai che Gianni Gasperi apprezzava molto anche  i vini di Giulio Gambelli  e quando mi hai detto che Grai assaggiava e non parlava mi è venuto in mente proprio Giulio, che degustava in silenzio e per tirargli fuori un commento bisogna va aspettare e usare quasi il forcipe. Inoltre il suo grande divertimento e la sua grande bravura era fare gli assemblaggi, i blend. Tornando a Grai: un maestro ma non di facile gestione.”

A.B. “Avevo imparato alcuni trucchi: quando arrivava gli chiedevo sempre: “Dato che ci sono i miei contadini che hanno bisogno di vino, qual è quello che metteresti in damigiana?” Allora lui assaggiava e mi indicava un vino, che io toglievo di circolazione subito. Poi magari lui mi richiedeva quel vino perché aveva l’idea di migliorare sempre un vino non perfetto, ma io gli dicevo di averlo venduto. Il mio trucco serviva per portarlo a lavorare sui vini migliori e soprattutto per farmi dire subito in quali vasche fossero. Col tempo, ragionandoci sopra ho capito che Grai non diceva niente perché non poteva dirti i suoi segreti, forse perché non li sapeva nemmeno lui. Era un genio inconsapevole della sua genialità.”

W. “Ultima domanda: come vedi il futuro del commercio del vino dopo questa tempesta?”

A.B. “Questa è una domanda molto difficile, dovrei riflettere molto.”

W. “Dicendo che è molto difficile mi hai già dato una risposta.”

A.B. “È molto difficile anche perché negli ultimi tempi ho avuto molti, troppi esempi negativi di persone che assaggiando non sanno capire o valutare cosa c’è nel bicchiere. Quindi la risposta potrebbe essere di dare valore “all’immagine” del vino. Per esempio in varie degustazioni ho sentito tecnici e produttori che discutevano tra loro non del sapore del vino ma di terpeni, di altre “robe misteriose”, mentre per me è molto semplice: qualche vino è molto buono, altri sono buoni, qualcuno… boh. Non vorrei che il vino, a parte i mostri sacri, diventasse un prodotto solo da grande mercato, dove i commercianti sanno scegliere vini, comprarli  e poi sanno vendere  ovunque prodotti molto accettabili a prezzi veramente bassi. Quindi come farai a far viaggiare nel mondo un’idea di identità più che di qualità? Il mondo è pieno di vini che si possono definire buoni: oramai anche il Tavernello rosso è un vino bevibile.”

W. “Sai, c’era un vecchio produttore della zona di Arezzo che aveva stilato un suo modo per classificare il vino, diviso in quattro livelli. Te lo elenco dall’alto verso il basso, in dialetto toscano “ Parecchio bono, bono, beilo te, un troiaio”.”

A.B. “Adesso il “troiaio” e forse il “beilo te” non c’è più.”

W. “Hai ragione, la qualità media dei vini è molto salita.”

A.B. “Quando iniziai a fare vino c’era sia l’ultima che la penultima categoria, mentre adesso con la tecnologia non puoi fare vini cattivi, magari leggeri e poco profumati ma non fanno schifo, sono bevibili. Per esempio da tempo a pranzo, sia nei bar vicini a casa mia che da molte altre parti , bevono Prosecco con l’Aperol. Va molto perché è dolce e il successo del Prosecco si spiega anche perchè è un vino spumante completamente diverso dallo Champagne e con il finale leggermente abboccato. Questi vini dove li metti nella classifica del produttore aretino? Quindi pare che nel commercio bisognerà essere meno snob: questo non vuol dire che sia il mio credo, ma io ho 83 anni. Ripeto che nel 2020 voglio produrre il miglior vino che abbia mai fatto: magari mi indebiterò ma voglio e devo farlo. In realtà il vero problema del coronavirus è l’indebitamento a cui sei costretto per tirare avanti e superare questo momento. Sotto questo punto di vista è peggio della guerra, perché durante la guerra il vino non lo facevi. Adesso invece noi abbiamo pagato per fare il vino ma questo vino non solo non lo vuole nessuno ma  non può volerlo nessuno. Comunque della vendemmia 2020 non butterò via nemmeno un grappolo, non manderò a distillare una sola goccia di vino perché il contadino è quello pensa che il suo mestiere non sia quello di essere il proprietario della terra ma il suo custode, oggi più di ieri.”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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