Indipendenza, parola da prendere con le molle4 min read

I buoni articoli fanno sempre pensare e quello di Jacopo Cossater Nel vino la parola indipendente non ha grande valore” pubblicato su Intravino, lo è. Per questo, magari ampliando il tema principale,  le parole di Jacopo mi hanno fatto pensare a varie cose: da una parte al valore percepito e reale degli slogan o delle sigle dall’altra al rapporto tra mondo della birra e del vino che però, non conoscendo minimamente il primo, tratterò da “casalingo di Voghera.”

Credo che l’Acronimo FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) sia nato per mostrare reale sintonia con i Vignerons Independants e non tanto per puntare sul concetto di indipendenza viticola. Per quanto mi riguarda l’unica persona realmente indipendente è colui che vive da solo in un’isola e produce quanto gli serve per sopravvivere ( o vivere).

Nel momento in cui si crea una società di persone, si partoriscono leggi, regole, divieti, il concetto di indipendenza assume valenze etiche talmente importanti e complesse che è quasi una bestemmia utilizzarlo per il vino. Senza andare lontano quante guerre d’indipendenza  hanno fatto i nostri avi o semplicemente i nostri nonni per arrivare a quello che oggi viene giustamente definito uno stato indipendente? E la nostra costituzione sancisce l’indipendenza dello stato dalla chiesa cristiana e sempre la costituzione parla di indipendenza di vari organi, tra cui la magistratura. Inoltre dagli Stati Uniti in poi le guerre d’indipendenza fanno parte  praticamente tutti gli stati oggi esistenti sulla carta geografica e quindi…attenzione! Attenzione perché il valore etico, storico e sociale che forse inconsciamente diamo a questo termine ci fa pensare ad una “indipendenza assoluta e totale” che, oltre a non esistere per motivi macro-micro economici, sociali, storici etc.  ci lascia con l’amaro in bocca quando andiamo a grattare con l’unghia sul concetto e su chi lo sta utilizzando.

Passando ad altri termini molto usati nessuno dei sostenitori di Trump credo si aspetti quello che promette il suo slogan “Make America Great again”e anche il concetto fondante di Slow Food “Buono, pulito e giusto” credo vada visto come un obiettivo da raggiungere e non come una regola aurea che serve a dividere il mondo tra buoni e cattivi.

Per questo sull’indipendenza dei produttori aderenti alla FIVI non mi strapperei le vesti: questo perché quanti vignaioli o aziende vinicole (FIVI e non ) possono dirsi indipendenti dai punti di vista che contano veramente, cioè finanziario e  commerciale? Quanti produttori non hanno mutui da estinguere che potrebbero in un malaugurato futuro portare alla vendita per insolvenza dell’azienda, o più semplicemente non possono permettersi il macchinario X o Y che cambierebbe e/o migliorerebbe il loro vino? Quanti non hanno mai preso in considerazione i consigli o i desideri di grandi importatori o di giornalisti famosi o semplicemente dell’ancor più famoso “mercato”? Quanti si sono messi a produrre “vini nuovi” semplicemente perché il mercato li vuole?

Quindi andare a discutere solo di indipendenza relativamente alle regole di iscrizione o meno ad una associazione è indubbiamente un tema da prendere in considerazione ma forse si dovrebbe allargare il tiro, perché vorrei che alzassero la mano i produttori di vino realmente indipendenti da tutti i fattori citati prima e quindi capire quante cantine stanno rischiando la loro indipendenza, il loro futuro. Inoltre se vogliamo proprio dirla tutta, in un mondo dove il concetto di “naturale” imperversa senza che sia mai stato definito in maniera univoca e definitiva, forse un concetto formale di indipendenza, anche se importante per presentarsi al mondo, non è forse il tema più importante a meno che non si parli di indipendenza a 360°.

Giusto alcune annotazioni sul mondo della birra e la valenza al suo interno del concetto di indipendenza. Come detto non conosco questo mondo: so soltanto che, per quanto mi hanno confidato produttori di vino che si sono messi a fare anche birra, la produzione costa molto, molto meno rispetto al vino e inoltre non ci sono i classici tempi d’attesa tra produzione e vendita, che invece sono alla base del mercato del vino. Inoltre vendere e incassare è più facile. Forse è più facile essere indipendenti (non solo da birrerie ma da banche etc) se gli investimenti iniziali e i tempi di vendita sono diversi. Questo, capisco, è un discorso da casalingo di Voghera però partendo dal presupposto di stampo keynesiano che non esistono pasti gratis, un minor impegno finanziario e una migliore capacità di vendita facilita non poco l’indipendenza, almeno quello da birrifici più grandi del tuo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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