Anche se breve, una vacanza è sempre una buona occasione per dare un’occhiata più da vicino ai paesaggi del vino, includendo in una accezione ampia del termine, le persone, i vignaioli e le vigne che a quel paesaggio appartengono.
Così mi sono imbattuto nella triste storia di un piccolo vigneto di carignano alquanto malridotto. Mi sono fermato al terzo passaggio su di un anonimo e polveroso stradello bianco che porta ad una piccola spiaggia sull’ Isola di Sant Antioco.
Mi sono fermato perché stavolta avevo notato un’auto parcheggiata all’interno della piccola proprietà e così, mi son detto, entro e attacco bottone.

Un signore, che chiamerò Gavino, si affaccia e chiede se mi sono perso. No, rispondo, volevo solo chiedere della sua vigna. “Ah, quella.. e chi ha più la forza e la voglia di lavorarla? Sono vecchio e faccio quello che posso-mi dice sconsolato- Quel po’ di uva che salvo la porto alla Cantina Sociale di Calasetta, ma ogni anno è sempre meno e le piante vanno in malora”.
Sempre Gavino mi racconta che tanti anni fa, nemmeno lui ricorda più quanti, le vigne di carignano erano estesissime (ho poi scoperto da un altro che negli anni 70 erano circa 3000 ettari e prima ancora molti di più) oggi invece non arrivano a 500 ettari.
La sopravvivenza del carignano in quest’isola è legata all’attività delle due cooperative, la Sardus Pater e quella di Calasetta. Le vigne di carignano che crescono a Sant Antioco sono per la maggior parte composte da viti su piede franco, alcune vecchie come Gavino e altre ancor di più,come Matusalemme. Le viti giovani invece sono poche, come pochi sono i giovani che hanno voglia di coltivarle. Viti che non hanno mai conosciuto il piede americano e che la fillossera non riesce ad intaccare.

Questa storia delle viti su piede franco mi fa nascere un mucchio di domande: al di là del forte appeal commerciale, in cosa può differire un carignano nato da uve su piede franco da un suo fratellastro nato su portainnesto americano? Per capirlo servirebbero alcuni confronti, ad esempio poter disporre di filari adiacenti dove allevare le viti nei due sistemi, vinificarle e affinarle con gli stessi lieviti e nello stesso ambiente, poi fare analisi comparative e solo dopo procedere ad una degustazione organolettica.
Magari qualcuno lo ha già fatto e a me non risulta cosicchè personalmente trovo difficile individuare un motivo di appeal oltre all’affetto che si può provare per qualcosa che resiste e mantiene la sua originalità. Comunque un paio di bottiglie di Carignano 932 (1932 è l’anno della fondazione) della Cantina di Calasetta le ho acquistate nalla speranza che ci fosse almeno un grappolo delle uve di Gavino.
Le foto dell’artico sono state prese dal sito della Cantina di Calasetta, che ringraziamo.