Conferma della differenza tra rossi e bianchi, con i primi in testa (ottimi i Rosso Piceno 2007). Passerina e Pecorino con molta strada davanti, nel bene e nel male.
Assaggiando i vini piceni quest’anno ci siamo ricordati di una vecchia intervista trasmessa su Mai Dire Gol, in cui il Presidente del Cesena Calcio, allora squadra di serie A, confidò all’intervistatore: “Sa…dopo tanti anni di calcio ho capito che, quando il Cesena vince 1 a 0, se poi fa un altro gol, è meglio”.
Ecco, dopo una decina di anni di assaggi, abbiamo capito che nel Piceno i rossi vengono meglio dei bianchi.
Una verità lapalissiana dunque, che – battute a parte – è stata messa in risalto da una annata, la 2007, nata “geneticamente” per esaltare le uve rosse a scapito delle bianche.
Ma partiamo dal Falerio dei Colli Ascolani 2007, nel quale l’annata non sembra aver particolarmente danneggiato – ma di certo nemmeno favorito – il risultato finale. Vini dunque medi, a volte un po’ troppo evoluti, altre lievemente grossolani, ma che assolveranno al compito di accompagnare il pasto e reggere per 12-16 mesi senza problemi.
Altro discorso per Passerina e Pecorino. Se infatti le potenzialità di entrambi sono evidenti – più femminile e “elettrico” il primo, più voluminoso e “giovanilistico” il secondo – è anche vero che la pressoché totale mancanza di un filo conduttore tra i vari vini in entrambe le tipologie non può essere ricondotta esclusivamente alla difficoltà dell’annata. Un giudizio duro, e ce ne rendiamo conto, ma di fronte a vini a volte verdognoli, altre quasi arancioni, alcuni freschi, altri giocati sui lieviti, o sul legno, o iperfruttati, o frutto delle varie enologie “alternative” (leggi sfocati e/o lievemente tannici) la confusione nel bicchiere è veramente (ma veramente) tanta. Con il rischio potenziale di fuorviare e disaffezionare il consumatore. Una strada, quella della vinificazione in purezza di entrambi, da sostenere, ma ancora molto lunga, e in salita, con la necessità primaria di trovare un accordo tra i produttori su cosa debbano essere i vini ottenuti da questi due ottimi vitigni.
Discorso diverso per il Rosso Piceno, per il quale ci stiamo sempre più convincendo che l’interpretazione come vino di pronta beva vada perseguita con maggiore convinzione.
Se infatti questa denominazione non brilla per la finezza dei profumi terziari – non ce ne vogliano i produttori – è anche vero che un Rosso Piceno giovane ben fatto, giocato sul frutto, è uno dei più interessanti rossi giovani “taglia XXL” della Penisola. Ottimi dunque i Rosso Piceno 2007, migliori dei 2006 (Superiore un po’ rustici e con tannini secchi, anche se non abrasivi). Chi cerca complessità si butti adesso sui Superiore 2005, con una avvertenza: se non apprezzate alcune imprecisioni olfattive, per una volta, usate il decanter. Ma chi in un vino ama belle concentrazioni e rotonda potenza (non costruita, ma “naturale”), qui troverà pane per i propri denti.