il Brasile non è un paese per pensionati (italiani)5 min read

Fedele al più comune degli stereotipi in voga tra i pensionati per anni ho coltivato l’idea, annaffiandola abbondantemente con ogni sorta di banalità, di voler trascorrere l’inverno in un paese caldo. Una volontà che è cresciuta negli anni, di pari passo con l’aumento della rigidità muscolare, fino a diventare una vera e propria ossessione.

Il modello “culturale” che costituisce la solida base di questa visione è assai complesso e articolato, pieno di significati reconditi e di inconfessati desideri giovanili repressi. Tuttavia non era mai stato messo in atto a causa del seguente assunto: entrate trimestre invernale = TOT Euro; uscite stesso periodo = TOT euro + un QUID. 

Poi con il tempo, alle pur sempre nobili motivazioni culturali (anche se infangate da un ignobile calcolo di convenienza) si sono sommati altri desideri come quello di voler scoprire come si potrebbe vivere da altre parti e cosa mai ci possa essere oltre la linea di quell’orizzonte che confina il nostro sguardo a una dimensione geograficamente definita. Senza contare la curiosità di scoprire come facciano certi popoli a vivere senza vino.

E così, forti di un risparmio su scala trimestrale di quel QUID di Euro, equipaggiati dalla folle convinzione che si viva meglio al caldo e supportati da un moderato desiderio di avventura, io e mia moglie ci siamo concessi una prima prova di migrazione di 40gg e siamo partiti per il Brasile. Devo anche aggiungere che il desiderio di riportare la circonferenza addominale sotto ai 103 cm ed il peso sotto ai 90kg, ha avuto un ruolo fondamentale, non tanto per la scelta del paese quanto per lo stile di vita adottato durante il soggiorno.

Mio nipote, che ha vissuto nella cittadina di Olinda a cavallo tra il 2008 ed il 2009, sosteneva che con il suo salario universitario di 750 euro aveva condotto una vita agiata, dimorando in una comoda Pousada e non privandosi di nulla. E’ pur vero che egli è un giovane e che probabilmente la frase “…vi ho condotto una vita agiata…” può avere un significato differente, ma anche facendogli la debita tara, alla luce del cambio odierno una tale somma appare largamente insufficiente.

L’inflazione è attorno al 6% annuo e la rivalutazione del Real, grazie alla politica di forte espansione monetaria del Brasile, erode senza sosta il valore della nostra moneta. Nel 2005 per un euro si ottenevano 3,8 real mentre ora al massimo te ne danno 2,2 il che, tradotto nel linguaggio dei pensionati, significa che i sogni non svaniscono solo all’alba, ma anche durante tutto il giorno.

Una coppia di italiani, Antonio e Paola, che vive “di rendita inps” a Rio de Janeiro, chiama il tasso di cambio “la croce del pensionato”. Hanno aperto un conto in banca e trasferito un gruzzoletto che ogni mese gli garantisce una rendita attorno al 8%, ma questa copre a malapena l’erosione dovuta all’inflazione. Il paese offre tuttavia moltissime opportunità di lavoro, e con un tasso di crescita del PIL (per quello che può valere il PIL) del 7,5% nel 2010, è oggi una delle economie più brillanti del mondo.

Evandro e Marisol, due cinquantenni di Sao Paulo in vacanza come noi, si mostrano sorpresi quando spiego loro che in Italia, un giovane laureato in Ingegneria, al pari del loro figlio Felipe, se trovasse impiego non potrebbe contare su un salario di ingresso più alto di 1.500 euro: questo mentre Felipe, al primo anno, ne guadagna già il doppio. Con il trascorrere dei giorni, escludendo qualunque ipotesi che contemplasse la parola “lavoro”, l’idea di un futuro “svernare” in Brasile si stava dissolvendo sotto i colpi di un’economia in espansione e di un euro sempre più debole (in rapporto al Real).

 

Incredibilmente, e senza l’aiuto del vino, i brasiliani appaiono allegri, sorridenti e sempre ben disposti nei confronti del prossimo. Mi faccio aiutare da Alfonso, la guida che ci accompagna alle cascate di Iguaxù, a capire qualcosa sul mondo del vino brasiliano. L’area più interessante è tutta concentrata nello stato di Rio Grande do Sur, dove le stagioni sono, più o meno, opposte alle nostre. Nella regione di Serra Gaùcha i primi emigranti italiani impiantarono vigneti che oggi si estendono per migliaia di ettari: siamo in un territorio dove il problema più grande sono le grandi piogge che cadono nel periodo immediatamente precedente la vendemmia. Ma la maggior parte dei vini migliori provengono da un’area di poco più di una ottantina di km², nel comune (così riportato nelle etichette) di Bento Goncalves, Stato di Rio Grande do Sur. Poi c’è il paradosso di Pernambuco, nel Nord Este: qui la denominazione prevede la dicitura Valle di Sao Francisco, ed è considerata una realtà in grande sviluppo. Si produce soprattutto uva da tavola, ( 95% di tutto il Brasile) ma anche più di sei milioni di litri di vino, si dice equamente suddivisi nelle due vendemmie annuali. Una delle aziende meglio distribuite è Miolo ed è stata ufficialmente nominata “cavia”  da assaggio da me e mia moglie.

Ammetto che solo pensando ai lettori di questo giornale ho infranto il programma di astinenza da vino autoimposto prima di partire. Comunque il Merlot assaggiato non ha nulla a che vedere, non dico con l’idea italiana, ma nemmeno con quella europea di Merlot. Spigoloso, crudo e sorretto da una grande acidità, manca di quel frutto che è l’anima di un Merlot e inoltre ha tannini probabilmente derivanti da una torchiatura smodata e senza precedente diraspatura. Il pregio di essere stato servito alla temperatura corretta, si è sommato al piacere di una persistenza corta.

In conclusione, all’orgoglio di essere forse l’unico italiano che va in Brasile con la moglie e che ritorna subito prima che inizi il carnevale, aggiungo che la circonferenza del giro vita è ora di 99 cm e il peso 84,7, misure che mi consentono finalmente di approcciare la parte più nascosta dell’armadio. Detto questo affermo, senza tema di smentita,  che il Brasile non è un paese per pensionati.      

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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