Identita Golose: riflessioni a freddo.4 min read

Nessun momento autocelebrativo, nessuna enfasi: insomma il giusto spirito per affrontare  quello che è e resta un momento di confronto, voluto e creato da Paolo Marchi in quel di Milano.
Un occasione unica in Italia. Il congresso è diventato ormai per molti cuochi un momento atteso, un evento a cui ci si prepara con attenzione pensando che il proprio lavoro sarà in qualche modo giudicato. Il rischio della passerella dei soliti ormai noti c’è, inutile nasconderselo, ma diciamocelo: che male c’è a mostrare agli altri quello che si è  pensato, elaborato e realizzato?
 Se l’anno scorso a fare da star c’erano  Ferran Adria e poi Pierre e Michel Troisgros, quest’anno oltre a Gualtiero Marchesi, sempre grande anche se un po’ autoreferenziale, (ma a un grande si perdona tutto), il botto,come dice Padovani, l’ha fatto Blumenthal il più estroso  della folta pattuglia di cuochi Britannici invitati al Congresso. Una vera e propria “messa in scena” con tanto di effetti speciali dalla bustina nascosta sotto la sedia che conteneva all’interno un’ostia di mirra ed una pellicola di incenso, alle spettacolari fioriere piene di ghiaccio secco e rose fumanti che emanano profumo di tabacco, cuoio, camino e pipa. Effetti speciali a parte, secondo Blumenthal “Mangiare è un’esperienza multisensoriale, non è solo il cibo che hai nel piatto. Quello che c’è nel piatto è solo uno degli aspetti di un grande pasto. L’ambiente, l’occasione, la compagnia sono altri elementi altrettanto importanti”.
Come dargli torto anche se qui mi sembra si sia  esagerato. Comunque ci sta. Ci sta tutto,perchè il  Congresso è  di “ Cucina d’Autore” , può piacere o meno ma questo è un’altro discorso.
Infine più che nelle altre edizioni l’annoso querelle  “materie prime di territorio sì o no” , è lungi dall’essere risolta .  Potremmo sintetizzarla così: da una parte una cucina proiettata verso la costruzione di piatti i cui ingredienti sono, quasi sempre , slegati dal territorio e dal contesto culturale. I cuochi, cittadini del mondo, utilizzano le materie prime che più gli aggradano  “a prescindere”. Dall’altra, una cucina legata culturalmente  al territorio che innova  ma con forti radici nell’uso di materie prime autoctone. Non che i confini  siano ben definiti, anzi, frequenti le “incursioni”  nell’uno e nell’altro campo. A sipario calato, tra le immagini che ci porteranno appresso: Ciccio Sultano che tracanna, in un sorso solo, un bicchierazzo di vino mentre mangia pasta e lenticchie appoggiato a una lavabiancheria. La maniacalità di Stefano Baiocco che sistema ordinatamente 140 germogli di erbe e fiori vari per poi mescolarli in un’insalata assolutamente unica. Il capolavoro di gastronomia visiva di Moreno Cedroni, autore di uno dei più bei piatti da vedere che si ricordino (patate viola, “moscioli”, alghe, finocchio selvatico, seppie, “cannolicchi” di mare, calamari e maionese di prezzemolo e limone) e l’incredibile nonché alquanto cervellotico “sottobosco dopo la nevicata” di Bottura (crema di patate, frullato di prezzemolo, nocciole tostate sbriciolate, tartufo nero, olio al peperoncino, crema di pinoli tostati e whisky torbato, gel di porcini secchi, battuto di lumache, polvere di caffé tostato, il tutto ricoperto da una soffice, candida spuma di aglio dolce !!!).  Non dimentichiamo il già citato  coup de theatre di Blumenthal, il mago Britannico che ha affascinato la platea. Non possiamo non ricordare inoltre tutti gli chef d’Abruzzo (regione ospite): Peppino e Angela Tinari, Marcello e Bruna Spadone, Fabrizio Camplone   sino a Nico Romito l’ispirato e geniale cuoco di Rivisondoli.
E questo per non palare di quello che nei quattro giorni è avvenuto al piano inferiore nella “sala blu”, con un continuo alternarsi di artigiani e chef che hanno dato prova della loro abilita destreggiandosi tra carni, pani  e cioccolato. Uno per tutti: Tomasz Kavcic, lo chef sloveno con il suo specialissimo grissino cotto sulla piastra di sale e l’altrettanto geniale sciarpa calda che ti avvolge il collo mentre una gelato al fiordilatte pervade il palato.
La frase più bella quella di Mottura. “Avanguardia è conoscere tutto e dimenticarsi di tutto”.

 

Pasquale Porcelli

Non ho mai frequentato nessun corso che non fosse Corso Umberto all’ora del passeggio. Non me ne pento, la strada insegna tanto. Mia madre diceva che ero uno zingaro, sempre pronto a partire. Sono un girovago curioso a cui piace vivere con piacere, e tra i piaceri poteva mancare il vino? Degustatore seriale, come si dice adesso, ho prestato il mio palato a quasi tutte le guide in circolazione, per divertimento e per vanità. Come sono finito in Winesurf? Un errore, non mio ma di Macchi che mi ha voluto con sé dall’inizio di questa bellissima avventura che mi permette di partire ancora.


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