I nuovi Ronchi di Castelluccio benedetti da San Domenico4 min read

Gli storici cru di Castelluccio dell’annata 2020 sono stati ufficialmente presentati alla stampa, nella cornice del Ristorante San Domenico di Imola, dalla nuova proprietà che fa capo ai fratelli Rametta.

Anche se in realtà il passaggio vero e proprio è avvenuto nel Luglio del 2020, l’attesa di vedere al banco di prova e di assaggiare tutta la batteria dei Ronchi di Castelluccio nelle interpretazioni dei neo-proprietari friggeva nell’aere da tempo.

I fratelli Rametta

Una cena(di cui per pudore non vi parlerò) e una degustazione da sooogno, per dirla alla Briatore-Crozza.

Castelluccio è un pezzo importante della storia enologica romagnola essendo stata la prima esperienza di viticoltura di qualità della Romagna. Il progetto visionario del fondatore, il regista Gian Vittorio Baldi, prese l’avvio nel 1974 su idea di Veronelli e affidato “in concreto” a due giovani professionisti, l’enologo Vittorio Fiore e l’agronomo Remigio Bordini, che all’epoca dirigeva la scuola di vitivinicoltura di Tebano.

L’idea di vinificare per singole parcelle era realmente visionaria e non si può fare a meno di chiedersi se il seme non sia germogliato nel 1969 durante il viaggio di nozze a Bordeaux con la moglie, l’attrice Macha Mèril. Baldi qui forse capisce o intuisce che il vino può essere concepito come un prodotto intellettuale e inizia così la ricerca di un luogo in Italia adatto alla realizzazione del suo progetto.

In quel periodo eredita un terreno sulle colline di Modigliana, se ne innamora e decide che quello è il luogo adatto: proprio la sua terra di origine, che sinora non ha prodotto altro che vini di basso profilo realizzati con pochi mezzi e snobbati dai ristoranti.

Francesco Bordini

I grandi vini non sono mai prodotti per caso, pensa Baldi, e così inizia a programmare in maniera scientifica con il supporto di Veronelli; scegliere cloni adatti, studiare i terreni giusti e avvalersi di professionisti come Fiore e Bordini.

Nel 1974 vennero piantumati diversi vitigni: cabernet sauvignon, sauvignon blanc e sangiovese allevati in varie forme, Guyot, cordone speronato e alberello. Alberelli bassi per sfruttare il calore accumulato dal suolo e far maturare meglio le uve. Vinificazione per singole vigne con affinamenti in acciaio e botti di rovere selezionate.

Nacquero così i primi cru in Romagna, fra i primi in Italia e di incredibile longevità. Le colline di Modigliana sono un’area geologica formata da un compatto strato di marne (argille) e arenarie (sabbie) suoli poveri e dalle forti pendenze dove sono stati individuate delle piccole zone ritenute da Bordini e Fiore adatte alla produzione di vini di qualità. L’idea audace era quella di coltivare a vigneto piccoli appezzamenti strappati ai boschi con la roncola, da cui il nome ronchi, e ricavare da ognuno di essi vini diversi.

Rispetto ai Ronchi degli ultimi anni della proprietà Fiore sono ritornati in bottiglia, e quindi anche in vigna, il Ronco del Casone e il Ronco della Simia. Restano il Ronco dei Ciliegi e il Ronco del Re e sparisce il Ronco delle Ginestre.

Oltre ai quattro Ronchi è stato presentato il Poggiolo (dal monte omonimo), un Cabernet Sauvignon di straordinaria eleganza.

La prima impressione, davvero positiva, che si ricava da questi vini assaggiati e bevuti copiosamente durante la cena, è che il nuovo corso enologico e agronomico affidato al figlio di Remigio Bordini, Francesco, abbia idee chiare e basi solide sulle quali appoggiarsi.

L’idea è quella di mantenere la barra dritta sulla valorizzazione dell’identità legata alle parcelle, alla scelta dei cloni e dei biotipi (recuperati dal materiale genetico originario) e riportare nel cuore degli appassionati vecchi e nuovi vini storici come Ronco della Simia e Ronco del Casone.

Un progetto ambizioso e assai dispendioso a giudicare dai lavori fatti in vigna. Per ora la produzione dei Ronchi è quantitativamente limitata, in attesa che il rimpiazzo delle fallanze (circa il 40%) vada a regime.

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


LEGGI ANCHE