L’altro vino che ex-aequo ha meritato il titolo di miglior bianco d’Italia per la nostra guida è il Verdicchio dei Castelli di Jesi Superiore Cuprese 2022, di Colonnara. Abbiamo quindi intervistato il giovane enologo che l’ha prodotto, Giulio Piazzini. Ma in un’occasione del genere abbiamo pensato fosse giusto far parlare anche il “padre storico” del Cuprese, quel Carlo Pigini Campanari che lo ha inventato nel 1985. Ne è venuta fuori un’intervista a tre che ha toccato passato, presente e futuro.
Winesurf “Buongiorno Giulio, Intanto qualche informazione su di te.”
Giulio Piazzini “Sono del 1986. Ho fatto sia la triennale che la magistrale mentre lavoravo in due aziende diverse e così svolgo questo lavoro da 18 vendemmie.”
W. “Praticamente hai iniziato quando eri in fasce.”

G.P. “In effetti già al primo anno di università ho fatto la prima vendemmia. Mi sono iscritto a Viticoltura e Enologia a 19 anni curioso su come si fa il vino, anche perché in famiglia il mondo del vino era entrato già con il mio bisnonno che era cantiniere in Toscana, a San Casciano dai Principi Corsini. Mentre studiavo ho fatto 5 anni in un’azienda di Cingoli, poi 10 anni in un’altra sempre di Cingoli e poi tre anni fa sono entrato in Moncaro”
W. “Scusa se ti interrompo ma dato che stati parlando di Moncaro ti faccio subito una doverosa domanda sulla situazione (fallimento n.d.r.) che sta vivendo questa storica cantina sociale marchigiana e che coinvolge buona parte del territorio.”
G.P. “Il punto interrogativo sta nella testa di qualsiasi persona legata al mondo del vino marchigiano, ma si sa ben poco. Stanno venendo fuori novità, adesso è stato nominato un commissario che si prenderà carico della situazione e la vendemmia è comunque partita. Fino a poco tempo fa la cantina era amministrata da un presidente che gestiva moltissime cose in prima persona da più decenni. Per questo anche capire com’è la situazione per poi fare le mosse giuste è una cosa molto complessa. La situazione debitoria è comunque importante ma speriamo che, col tempo la cosa possa risolversi anche se l’agricoltura il tempo non te lo da, ci sono lavori obbligati da fare in vigna. La vendemmia l’hanno fatta e si spera si trovi un accordo tra la cooperativa Moderna che portava l’uva a Moncaro e la cantina, per poter almeno dare un futuro a Moderna. Certezze non ne ho e pare che qualche spiraglio ci sia ma c’è da fare tanta strada.”

W. “Torniamo a te: tre anni fa sei entrato a Moncaro e poi?
G.P. “Sono entrato a lavorare a giugno 2021 a Moncaro e poco dopo è partita la collaborazione commerciale tra Moncaro e Colonnara, che dal punto di vista enologico esisteva già da anni perché Colonnara faceva tutti i vini frizzanti di Moncaro. Poi l’enologo che c’era a Colonnara aveva deciso di cambiare e così sono arrivato ufficialmente a Colonnara a inizio 2022.”
W. “Quindi il papà del Cuprese 2022 sei tu.”
G.P. “Ho ereditato il modus operandi del precedente enologo, che era anche quello di Carlo Pigini Campanari.”
W. “Dato che con te c’è anche Carlo è il momento adatto per questa domanda: Il Cuprese è uno dei Verdicchio Dei Castelli di Jesi con più storia alle spalle, con la prima annata nel 1985. Cosa è rimasto immutato nel tempo e cosa è cambiato?”

Carlo Pigini Campanari “Intanto per capire come nasce il Cuprese bisogna pensare all’enologia di quegli anni, quando c’era la vinificazione in “semirosso” del Verdicchio e poi molti interventi di tipo chimico-fisico, come l’uso del carbone decolorante. Il Verdicchio nasceva con una grande quantità di polifenoli che poi venivano tolti con chiarifiche e trattamenti vari. Volevo uscire da quel meccanismo e seguire la filosofia che “il vino meno lo tocchi e meglio è”. Il Cuprese nasce anche da viaggi in Francia alla ricerca di lieviti adatti. Nel 1985, venendo dall’esperienza avuta con i vini spumanti, introdussi la pressatura soffice usando le prima Vaslin arrivata nelle Marche e utilizzando solo il mosto di sgrondo e non di pressature più importanti. Il Primo Cuprese nacque da una selezione di vigneti praticamente solo del territorio del comune di Cupramontana, erano circa una ventina di vigneti.”
W. “E oggi, Giulio, come nasce il Cuprese?”
G.P. “Privilegiare i vigneti di Cupramontana è rimasta una regola portata avanti nel tempo, anche il fatto che nasca da vari vigneti con esposizioni e altitudini diverse. Una cosa che è cambiata dal 1985 è sicuramente il clima e quindi abbiamo utilizzato vigneti che in passato, magari perché esposti a nord, non avevano molto credito. Vigne che anche nel 2022 avevano una grossa riserva idrica: pensa che durante i campionamenti in estate, in quell’estata caldissima e senza pioggia, vedevamo dei fossi in cui scorreva l’acqua. E questo ha indubbiamente aiutato a dare freschezza la vino.”
W. “Per quanto riguarda la cantina invece come nasce il Cuprese?”
G.P. “Raccolta manuale, il mosto non riceve protezione da ossigeno, arriva in pressa e prendiamo solo mosto fiore che scende per gravità nei serbatori sotto le presse e quindi entra in contatto con l’ossigeno facendo una prima chiarifica naturale. La mattina dopo il mosto pulito viene travasato e messo a fermentare in serbatoi di acciaio. Utilizzando un lievito molto neutro fermenta a temperatura controllata attorno ai 17 gradi, che a fine fermentazione possono arrivare anche a 18-19.”
W. “Quindi il Cuprese è un blend di vigneti. In questo momento climatico per il Verdicchio, ancorato per disciplinare al monovitigno, credi che convenga produrre da una singola vigna o fare dei blend?”
G.P. “Questo rientra nella filosofia del produttore e si possono avere ottimi risultati in entrambi i casi. Il Cuprese nasce in una cooperativa e quindi valorizzava e valorizza vari vigneti. Questo ti permette di avere maggiori margini di manovra.”
W. “A questo punto arriva il domandone: pensi ci siano realmente le caratteristiche non solo per dividere la zona del Verdicchio in destra/sinistra Esino, ma anche per puntare ad una suddivisione in cru?”
G.P. “Questa cosa, soprattutto a Cupramontana si sta facendo da anni e la comunità è pronta per parlare di cru, grazie anche a tanti piccoli produttori che sono nati negli anni e hanno valorizzato le loro parcelle. Il passaggio precedente dovrebbe essere però quello delle denominazioni comunali e comunque stiamo parlando di nicchie produttive.”

W. “Tra le tante proposte per il nuovo disciplinare del Verdicchio dei Castelli di Jesi Superiore c’è anche quella di togliere il nome del vitigno: tu cosa ne pensi?”
G.P. “Il mio parere conta poco ma parlando sia con produttori che con responsabili commerciali e anche con tecnici i pareri sono molto diversi: molti non vogliono assolutamente abbandonare la parola “Verdicchio”, altri invece, avendo costruito la loro comunicazione sulla zona, sarebbero favorevoli a toglierla. Quello di parlare della zona fa pensare a nomi come Barolo e Montalcino, dove si è fatto tanti passi in avanti nel valore dell’uva e del vino. Per me puntare a valorizzare più la zona del vitigno dovrebbe essere un obiettivo da raggiungere, ma in realtà dovremmo trovare un qualcosa che vada bene a tutti perché una divisione netta porterebbe solo danni notevoli.”
W “Carlo invece come la pensa?”
C.P.C. “La nostra normativa ha creato i disciplinari, che hanno funzionato bene fino ad oggi ma tolgono una certa dinamicità commerciale. I piccoli produttori sono più bravi a valorizzare il loro prodotto indipendentemente da come si chiama in etichetta. Secondo me mantenere il nome Verdicchio o meno è poco rilevante è importante invece identificare la bottiglia con una zona precisa, con un vigneto.”
W. “Giulio, secondo te perché il Verdicchio non ha mai raggiunto livelli di prezzo adeguati alla qualità del vino?”
G.P. “Carlo ha molta più esperienza di me. Quello che credo io è che non sia riconducibile ad un solo fattore. All’estero, specie nel Canada o negli Stati Uniti si risente ancora del concetto di vino nella bottiglia ad anfora. Poi indubbiamente perché non ci sono state grosse spinte comunicative fino ad oggi. E’ vero che c’è un consorzio ma è di tutti i vini marchigiani e inoltre oggi chi ha meno problemi a comunicare e valorizzare il territorio è chi è partito prima, creando mercati che è difficile cambiare. E’ vero che nella zona del verdicchio si fanno ottimi vini da tanti anni ma non è stato comunicato nel modo giusto. Anche la mentalità marchigiana è importante, in grado di produrre qualità ma non di comunicarla in maniera adeguata.”
W. “Carlo cosa ne pensa?”
C.P.C. “Intanto quale vino bianco prodotto in Italia ha successo a livello internazionale? Nel mondo si esporta il rosso. Inoltre nelle Marche c’è una regionalizzazione dei consumi e addirittura per il Verdicchio il mercato si riduce alla provincia di Ancona e di Macerata. Questa è la realtà.”
W. “Torniamo a Giulio, il Cuprese è famoso per le sue possibilità di invecchiamento: sulla 2022 cosi ci dici?”
G.P. “Domanda da sfera di cristallo. Neanche tanto paradossalmente credo che un’annata si scopra adatta all’invecchiamento solo con l’invecchiamento. Per esempio la 2022, prima di iniziare la vendemmia si ipotizzava che non sarebbe stata una grande annata, ma assaggiandoli ora ci facciamo un’idea diversa. Ad oggi posso pensare che avrà un lungo invecchiamento, poi lo riassaggiamo assieme fra dieci anni e ne parliamo.”

W. “Carlo invece cosa pensa delle possibilità di invecchiamento?”
C.P.C. “Penso che ha buone possibilità ma è impossibile da stabilire. Non posso dire se sarà come un 1991 perché sono cambiate tante cose, tra cui il clima. Inoltre il mercato italiano non gradisce i bianchi di diversi anni e quindi probabilmente sono esercizi che facciamo solo tra noi.”
W. “Anche se tra noi a me va bene, perché mi diverto sempre molto ad assaggiare vini come il Cuprese di 15-20 anni.”
C.P.C. “Comunque credo che abbia riflessi positivi sul mercato avere vini da lungo invecchiamento.”
W. Giulio a casa, cosa bevi?
G.P. “Come tutti gli appassionati di vino mi piace spaziare e di solito quelli che produco io non li porto in tavola se non come campioni da botte: infatti mia moglie conosce molto poco i vini che faccio. In generale preferisco bianchi e bollicine.
W. “Se tu dovessi dirmi un bianco e un rosso?”
G.P. “Il carricante dell’Etna mi piace molto e come rossi adesso mi piacciono i sangiovese dei colli romagnoli.”
W. “Riprendi la palla di cristallo e dimmi cosa vedi nel futuro del Verdicchio.”
G.P. “Siamo in una fase in cui è difficile dire quello che succederà domani. Comunque per la prima volta sembra che i bianchi vengano consumati più dei rossi. C’è anche il fattore positivo che i Verdicchio sono vini da invecchiamento, però adesso ce la dobbiamo giocare e lavorare duro, anche in comunicazione.”