L’Abruzzo ti sorprende sempre, con il caloroso abbraccio della sua accoglienza, con il contrasto tra la linearità rassicurante della costa sabbiosa del medio Adriatico e la selvaggia bellezza della montagna appenninica, mediata dalla dolcezza delle colline affacciate sul mare. Sorprende anche la bellezza di alcuni centri interni, come Atri, sede quest’anno del Focus sulle Colline Teramane, elegante e inaspettata, che trasuda la sua storia egemone sul territorio, ricca di eleganti palazzi, chiese di grande suggestione e un teatro bomboniera che basterebbe per innamorarsi di questo borgo di circa 10.000 anime.
Della due giorni di degustazioni, cene, confronto con i produttori e visite in cantina la sensazione che ci si porta a casa è di un mondo vitivinicolo in grande evoluzione, in cui i produttori si parlano e discutono costantemente, diventando padroni del loro destino con un processo di trasformazione in attuazione del “modello Abruzzo” istituito nel 2023, che ha fatto confluire il Consorzio Tutela Vini Colline Teramane e la Doc Controguerra nel Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo.

Il “Modello Abruzzo” è un progetto che persegue l’identità enologica regionale e le singole identità territoriali cercando una riconoscibilità per il consumatore. Le novità più significative prevedono l’introduzione della menzione superiore che dovranno riportare in etichetta le sottozone provinciali come le riserve, primo passo verso le auspicate Unità Geografiche Aggiuntive comunali. Per snellire il caotico sistema delle vecchie denominazioni, è stata, inoltre, prevista un’unica I.G.P. Terre d’Abruzzo.
La docg Colline Teramane diventa così fiore all’occhiello di tutto il sistema Abruzzo, con il consorzio ormai sciolto che diventa un comitato guidato da Enrico Cerulli Irelli.
Certo la strada da percorrere è ancora tanta, ma sicuramente appare quella giusta, anche perché la degustazione ha rivelato, in un percorso ancora in fieri, una ricerca di identità evidente. Pochi i campioni dei bianchi, Trebbiano Superiore e Pecorino Superiore: alcuni vini stringono l’occhio al mercato con interpretazioni ruffianeggianti, altri ancora troppo giovani per esprimere il proprio potenziale.

Anche i Cerasuolo d’Abruzzo Superiore non ci hanno convinto, ancora in ripresa dopo le devastanti mode provenzali, ma almeno sui colori ci sembra esserci un atteso ritorno al passato. A questo proposito merita un plauso la proposta del consorzio di tutela dei vini d’Abruzzo, per voce del suo presidente Alessandro Nicodemi, di modificare il disciplinare del Cerasuolo, indicando le caratteristiche cromatiche che deve avere un Cerasuolo d’Abruzzo e creando nel contempo una denominazione Rosato d’Abruzzo in cui far convergere tutti quei vini che per scelta del produttore non dovessero rispettare detti parametri.
Arriviamo alla docg che viene distinta dal consorzio in due tipologie, la giovane con minimo un anno di affinamento e la riserva con minimo tre anni di affinamento, di cui uno in legno.
La versione più giovane è ancora alla ricerca di una sua identità, tra i campioni assaggiati qualcuno gioca a fare la piccola riserva, puntando sui volumi e sul legno, alcuni su uno stile internazionale più equilibrato ma sicuramente poco identitario, bene invece le interpretazioni che vanno per sottrazione, cercando freschezza e bevibilità nel rispetto del carattere varietale e territoriale.
Più avanti sulla strada del territorio la riserva certo in molti campioni si strizza l’occhio ad un passato dove potenza e legno abbracciavano i vini in una morsa mortale, ma c’è una tendenza diffusa all’eleganza e alla misura che facilita l’espressione territoriale in maniera evidente, segnando la via.
L’Abruzzo ha intrapreso un percorso affascinante, c’è ancora tanta strada da percorrere, ma i primi passi sono incoraggianti. La comunicazione che i produttori sembrano aver creato tra loro, è il valore aggiunto di questa regione che in questo momento sembra essere un passo davanti a molti altri.