Qualche anno fa ero in una vigneto in una bella giornata di sole, quando un cara amica mi telefonò dicendomi che Fabrizio Piccin aveva grossi problemi di salute.
Ripensandoci adesso quello era non solo il posto giusto per ricevere una bruttissima notizia, ma il percorso di Fabrizio in questi anni è stato segnato dal sole e dal vigneto. Un sole interno che continuava a risplendere nonostante tutto e gli anni che, come nel vigneto, si succedevano uno meglio e l’altro peggio.
Fino ad oggi, quando quello con la falce vestito di nero è andato a prendere quello che era sempre vestito da campagna e al massimo aveva in mano le forbici per potare. Un confronto impari, ingiusto, al quale però Fabrizio si è sottoposto con tutto il suo coraggio permeato di incredibile ironia e di meravigliosa intelligenza.
Sono convinto che in qualche colloquio notturno, davanti alla scacchiera della vita, anche quello con la falce abbia abbassato lo sguardo di fronte a quello di Fabrizio, sempre allegro ma che sapeva assumere profondità abissali, e gli abbia concesso quello che lui voleva, per esempio riuscire a vedere sua nipote.
Del resto, se ci pensiamo bene, almeno dal punto di vista professionale, Fabrizio Piccin era già morto e risorto. Aveva infatti portato una bellissima cantina di Montepulciano al successo, per poi doverla abbandonare, praticamente dall’oggi al domani.
Come si reagisce ad una morte enoica del genere? Semplicemente risorgendo dove uno meno se l’aspetta: al sud, dove nemmeno Cristo c’era arrivato fermandosi ad Eboli, cioè nel Vulture. Qui ha creato, aiutato dal meraviglioso gruppo che gli ho sempre invidiato, la sua famiglia, la cantina Grifalco e naturalmente l’ha condotta ad alti livelli.
Tutto questo mentre quello con la falce continuava a tormentarlo ogni notte, mentre di giorno lui lo combatteva con le armi degli umani e armato di solare coraggio.
E’ stata una lotta dura per tutti e due, ma Fabrizio sapeva già che alla fine avrebbe trionfato l’altro: però c’è modo e modo di perdere e sono convinto che all’uscita avrà avuto da parte di quello con la falce l’onore delle armi.
Del resto come fai a non darlo a chi, qualche giorno prima di morire scherza con gli amici raccontando aneddoti a lui accaduti al cimitero del Verano?
Fabrizio era così e sono orgoglioso di aver condiviso con lui momenti bellissimi, scherzando e ridendo.
A proposito, non so se esiste un paradiso, ma se qualcosa c’è Fabrizio adesso starà nel suo paradiso personale, quello che si è meritato in vita, composto da una grande sala con una grande tavolo a cui sono seduti tanti amici. Fabrizio è lì, ridendo alle battute, facendone altre a bruciapelo mentre beve un buon vino, magari alzandosi per servire un buon formaggio. Quello è, come minimo, il luogo che gli spetta di diritto, per sempre.
Alla meravigliosa famiglia che gli ho sempre invidiato dico solo di piangere se vogliono, perché il pianto cauterizza il dolore e rende possibile il ricordo, ma sotto sotto stiano tranquilli perché Fabrizio adesso è a quel tavolo.
A chi si domanderà perché ho messo una foto di Fabrizio giovanissimo all’inizio dell’articolo rispondo che, come diceva Guccini “Gli eroi son tutti giovani e belli” e Fabrizio, per quanto ha costruito nella vita e per come ha affrontato la malattia e la morte, è stato un semplice eroe del nostro tempo e così lo voglio ricordare.