Estirpare o dealcolare, that is the question?3 min read

Certe volte mi sembra che nascano delle discussioni giusto per smuovere l’aria. E’ il caso della diatriba sugli espianti di vigneti italiani e sulle soluzioni alternative.

Di solito funziona così: nel paese c’è un problema e le associazioni di categoria di chi ha quel problema fanno presente al governo la situazione e gli chiedono di intervenire.

Sul vero o presunto problema degli espianti di vigneto le cose sono andate quasi al contrario: Bordeaux e non solo, quindi diciamo la Francia per comodità, ha un problema di espianti da tempo e così chiede aiuto alla Commissione Europea, perché finanzi la cosa. Al nostro ministro dell’agricoltura la cosa sembra interessante e così la propone anche in Italia e qui si scatena il pandemonio tra favorevoli o contrari. Favorevoli o contrari, attenzione, non ad una proposta che nasce da un determinato comparto produttivo, motivata da esigenze economiche precise, ma da un pour parler scatenatosi solo di rimbalzo. Tutti sentono il bisogno di dire la sua ma nessuno si chiede chi, se e dove qualcuno ha chiesto ufficialmente di espiantare qualche migliaio di ettari. Considerate che se parliamo di superfici vitate,  dagli anni ’70 del secolo scorso ad oggi la superficie vitata in Italia si è più che dimezzata, passando da 1.238.000 ettari del 1976 ai circa 600.00 di adesso: insomma, qualche ettaro, pur senza contributi (lasciando da parte i diritti d’impianto) è stato tolto.

Evoluzione della superficie vitata destinata a vino 1921-2011 (da dati Istat)

Ma la cosa diventa quasi divertente quando si propone una soluzione diversa al problema, da una parte abbassare le rese per ettaro e dall’altra quella di dealcolare il vino.

Sull’abbassare le rese per ettaro, come diceva un comico qualche anni fa “Mi vien che ridere”. Fermo restando che abbassare le rese dei vini DOC e DOCG di alta gamma è inutile e pure, con questi cambiamenti climatici, dannoso, ma è da quando esiste il mondo che certe denominazioni producono, per esempio, 100 per fare 80 di vino DOC e 20 di IGT o di vino generico. Vogliamo spostare l’asticella più in basso e fare 70 e 30? Se questo accadesse il risultato sarebbe di prendere magari 10 euro al quintale in più da una parte e 20 euro al quintale in meno dall’altra, non cambiando, nei fatti, assolutamente niente.

Sul vino dealcolato, fermo restando che il sottoscritto è favorevole ad una lenta ma importante crescita di questa tipologia,  si assiste a lamenti da prefiche o a ponderate prese di posizione a favore senza considerare una cosa: se oggi venissero dealcolati e messi in commercio (più all’estero che in Italia) quantitativi importanti di vino senza alcol, chi lo comprerebbe? Chi sta creando un mercato per questi prodotti? Chi finanzierà le campagne pubblicitarie per farli conoscere? Forse i produttori  di uve dal prezzo al quintale così basso da pensare di espiantare il vigneto?

Insomma, rendiamoci conto che stiamo parlando del sesso degli angeli e passiamo oltre, magari incominciando a pensare seriamente a come e dove creare, nel tempo, un reale mercato per il vino dealcolato.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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