Certe volte mi sembra che nascano delle discussioni giusto per smuovere l’aria. E’ il caso della diatriba sugli espianti di vigneti italiani e sulle soluzioni alternative.
Di solito funziona così: nel paese c’è un problema e le associazioni di categoria di chi ha quel problema fanno presente al governo la situazione e gli chiedono di intervenire.

Sul vero o presunto problema degli espianti di vigneto le cose sono andate quasi al contrario: Bordeaux e non solo, quindi diciamo la Francia per comodità, ha un problema di espianti da tempo e così chiede aiuto alla Commissione Europea, perché finanzi la cosa. Al nostro ministro dell’agricoltura la cosa sembra interessante e così la propone anche in Italia e qui si scatena il pandemonio tra favorevoli o contrari. Favorevoli o contrari, attenzione, non ad una proposta che nasce da un determinato comparto produttivo, motivata da esigenze economiche precise, ma da un pour parler scatenatosi solo di rimbalzo. Tutti sentono il bisogno di dire la sua ma nessuno si chiede chi, se e dove qualcuno ha chiesto ufficialmente di espiantare qualche migliaio di ettari. Considerate che se parliamo di superfici vitate, dagli anni ’70 del secolo scorso ad oggi la superficie vitata in Italia si è più che dimezzata, passando da 1.238.000 ettari del 1976 ai circa 600.00 di adesso: insomma, qualche ettaro, pur senza contributi (lasciando da parte i diritti d’impianto) è stato tolto.

Ma la cosa diventa quasi divertente quando si propone una soluzione diversa al problema, da una parte abbassare le rese per ettaro e dall’altra quella di dealcolare il vino.
Sull’abbassare le rese per ettaro, come diceva un comico qualche anni fa “Mi vien che ridere”. Fermo restando che abbassare le rese dei vini DOC e DOCG di alta gamma è inutile e pure, con questi cambiamenti climatici, dannoso, ma è da quando esiste il mondo che certe denominazioni producono, per esempio, 100 per fare 80 di vino DOC e 20 di IGT o di vino generico. Vogliamo spostare l’asticella più in basso e fare 70 e 30? Se questo accadesse il risultato sarebbe di prendere magari 10 euro al quintale in più da una parte e 20 euro al quintale in meno dall’altra, non cambiando, nei fatti, assolutamente niente.
Sul vino dealcolato, fermo restando che il sottoscritto è favorevole ad una lenta ma importante crescita di questa tipologia, si assiste a lamenti da prefiche o a ponderate prese di posizione a favore senza considerare una cosa: se oggi venissero dealcolati e messi in commercio (più all’estero che in Italia) quantitativi importanti di vino senza alcol, chi lo comprerebbe? Chi sta creando un mercato per questi prodotti? Chi finanzierà le campagne pubblicitarie per farli conoscere? Forse i produttori di uve dal prezzo al quintale così basso da pensare di espiantare il vigneto?

Insomma, rendiamoci conto che stiamo parlando del sesso degli angeli e passiamo oltre, magari incominciando a pensare seriamente a come e dove creare, nel tempo, un reale mercato per il vino dealcolato.