Erasmo, da Rotterdam…al pinot nero sull’appennino toscano5 min read

“Però una cosa è certa, che senza un pizzico di Follia non può esservi banchetto ben riuscito”  (Erasmo da Rotterdam, Elogio della Follia)

 

La follia chiamata in causa non è la mia che, in una primavera vera travestita da inverno finto (la follia è anche scambiarsi i ruoli) mi ha portato (assieme a molti altri) fino a Borgo San Lorenzo, cittadina da me conosciuta solo perché patria della pulzella a cui donai il mio primo bacio.

La follia, che secondo Erasmo da Rotterdam non trova altro luogo dove rifugiarsi se non il convento, questa volta aveva trovato casa nello storico Palazzo Pecori Giraldi di  Borgo San Lorenzo, grazie alla decina  di produttori di Pinot Nero dell’Appennino toscano che avevano pensato di ritrovarsi lì per  Eccopinò, manifestazione nata per annunziare “urbi et orbi” la loro sanissima follia: produrre OTTIMI Pinot Nero in zone montane o pedemontane della Toscana.

 

Il “banchetto che senza un pizzico di follia non può esserci”, è iniziato attorno alle 11 di lunedì 16 aprile.  Nei bicchieri nove pinot nero di otto produttori e focus sul l’annata 2009, in generale non certo stratosferica e quindi follemente/giustamente adatta  per una prima assoluta.

Chi mi conosce sa che sono incline a scrivere in maniera seria ma folle (come in questo  caso), ma lo sono specialmente quando sono felice. E la degustazione dei nove vini di questo sparuto manipolo di gentili, bravi, intelligenti e  disponibili signori, definiti da ora in avanti produttori di OTTIMI Pinot Nero, mi ha reso felice.

Perché? Perchè credevo, avendone avuto prova provata (vedi), che alcuni dei loro prodotti fossero buoni, ma non che alla prova dei fatti e durante una presentazione ufficiale TUTTI fossero buoni. Cosa intendo per buono? Vini riconoscibili immediatamente come Pinot Nero, piacevoli, profumati, diversi l’uno dall’altro ma simili; con tannini  setosi e elegantemente accennati, dotati anche di profondità e complessità che la giovane età delle vigne (in quasi tutti i casi) poteva portare ad escludere.

Chi volesse saperne di più  prenda nota: una decina di piiiiccoli produttori che hanno vigna e casa in Garfagnana, Lunigiana, Mugello e Casentino.  Una decina di storie completamente diverse ma che hanno in comune il Pinot Nero e la follia; ma non (come giustamente distingue Erasmo) la follia simile a demenza ma quella che “Si manifesta ogni volta che una dolce illusione libera l’animo dall’ansia e lo colma, insieme, di mille sensazioni piacevoli”.

 

E così questi bravi produttori (anche e soprattutto dal punto di vista tecnico, sia in vigna sia in cantina) animati da una dolce illusione divenuta realtà hanno liberato i loro animi, aperto le loro bottiglie e colmato i nostri bicchieri di sensazioni piacevolissime.

Fuor di metafora:  i nove vini degustati e presentati dai titolari delle aziende (in rigoroso ordine di presentazione) Licciana Nardi, Podere Còncori,  Macea, Podere Fortuna, Il Rio, Terre di Giotto,Fattoria il Lago e Podere della Civettaja sono stati esempi rimarchevoli di come si possa finalmente produrre Pinot Nero di ottimo livello e con grande rispondenza al vitigno, anche in Toscana.

Ma i nostri folli che folli non sono, sapevano bene che almeno 150 anni prima il Barone Vittorio degli Albizzi aveva piantato Pinot Nero in zona pedemontana come  Pomino e solo l’incostanza del vitigno e soprattutto l’arretratezza dei modi di allevamento e della vinificazione ne aveva consigliato l’abbandono.

Insomma: l’elogio della follia dei nostri produttori (che aspettano solo di essere scoperti come gruppo e così proposti in enoteca e nelle carte dei vini dei ristoranti, visti anche i prezzi abbastanza interessanti dei vini) si è trasformato in un inno alla gioia degustativa, perché la Toscana poteva finalmente sperare di avere un futuro “roseo” (ovviamente…è pinot nero e ha poco colore) per questo vitigno.

Adesso alcune notazioni schifosamente serie: stiamo parlando di produttori che hanno vigneti in zone pedemontane, dai 250 ai 600 metri, con climi ed escursioni termiche da vera e propria montagna. Questo, in tempi di innalzamento generale delle temperature è uno dei loro “Atout” per produrre dei buoni Pinot Nero. Poi possiamo metterci maestria, bravura, fortuna, impegno, abnegazione e fatica ma la loro grande possibilità risiede in terroir che solo Erasmo e la memoria contadina poteva consigliare per un vigneto.

La memoria dei nonni e bisnonni infatti ci dice che in passato dove adesso si produce Pinot Nero si produceva vino e si cercava, senza averne la possibilità, di farlo  buono. Oggi l’associazione “Appennino Toscano – Vignaioli di Pinot Nero” ha dimostrato di avere queste possibilità e di poterne avere sempre più in futuro, visto che adesso si parla di produzioni omeopatiche che, a regime e fra qualche anno, arriveranno al massimo attorno alle 80.000 bottiglie.

Cosa dire alla fine di questi vini? Magari  non saranno i migliori del mondo, ma la scherzosa definizione di  “Gevrey Casentin” la dice lunga sulle speranze che i presenti alla manifestazione hanno riposto in loro per il futuro.

Ma ora basta! Sono felice perché ho gustato buoni vini e conosciuto brave persone. Quindi lascio spazio al  fido Erasmo “Perciò addio! Applaudite, state sani, bevete, vivete, o rinomatissimi discepoli della Follia.”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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