Apriamo con un proverbio vero ed uno "adattato". Se è vero che "Paese che vai usanze che trovi" e altrettanto lampante, secondo la scienza enologica che "Vino che vai colore che trovi".Il colore del vino è dato da sostanze polifenoliche chiamate antociani. In particolare gli antociani sono poco stabili una volta fuoriusciti dalla buccia, ma se combinati con i tannini formano diversi composti stabili, responsabili del colore del vino. Si tratta di reazioni chimiche, dove i fattori in gioco sono molteplici: tipologia di uva, resa per ettaro, grado di maturazione, sistema di vinificazione. In ogni caso ci sono dei fattori limitanti: soprattutto in alcuni importanti vitigni autoctoni il tipo di antociani presenti non è responsabile di determinate “lunghezze d’onda”. In parole povere certe tonalità o certe intensità non sono proprie sia di alcuni vitigni non autoctoni come il classico Pinot nero sia di molte varietà autocnone come il Nebbiolo, il Sangiovese, il Grignolino, il Nerello e via cantando. Tra l’altro questa è una delle ragioni per cui i nostri avi non vinificavano mai in purezza queste uve, ma sempre in uvaggio. Se un Pinot nero ha note violacee, ha un colore profondo e cupo, se un Nerello non lascia trasparire il fondo del bicchiere, ci sono elementi sufficienti per dubitare.Dubitare di cosa? Dubitare del fatto che, se il colore è molto intenso, si può pensare ad un trattamento di concentrazione: oggigiorno esistono concentratori di tutti i tipi: a caldo, a freddo, sottovuoto. La tecnologia si è poi evoluta fino al processo di osmosi inversa: praticamente attraverso delle membrane selettive si decide a tavolino cosa eliminare e cosa trattenere nel vino. Il concetto di concentrazione non è del tutto innaturale: se pensiamo ad un Amarone o a qualsiasi altro vino ottenuto da uve sottoposte a surmaturazione, pensiamo ad un processo di concentrazione. Con la concentrazione non varia la tonalità del vino, ma solo l’intensità: posso avere dei vini più intensi ma non con note differenti. Il vero dubbio dovrebbe sorgere quando si trovano su questi vitigni note non tipiche: generalmente si tratta di colorazioni tendenti al viola intenso, molto apprezzate soprattutto nel corso delle degustazioni per l’assegnazione di premi vari su riviste e guide. Diciamo che esistono differenti modi per “truccare” questi vini: dal più subdolo, cioè con enocianina, che è un colorante naturale ottenuto dall’uva ed impiegato nel settore alimentare, al più semplice, cioè tagliando con vini naturalmente carichi di colore. Pare, ripeto pare, che un noto produttore di Barbaresco abbia deciso di imbottigliare alcuni vini senza fregiarsi della DOCG, portando motivazioni che per un tecnico (e forse anche per un normale consumatore) sono abbastanza improbabili. Il motivo principale addotto è stato che era impossibile in cantina evitare il contatto fra vini diversi, per cui non sarebbe stato serio per il consumatore. Peccato che tale scusa sia stata utilizzata solo dopo che i metodi analitici sviluppati recentemente permettono di correlare le sostanze coloranti di uve e vini: praticamente se una sostanza colorante è estranea nella tal uva, non può essere presente nel vino. Questa dovrebbe essere una garanzia in più per il consumatore, ma tale analisi al momento non mi risulta siano obbligatorie o svolte di routine presso gli organi di tutela.
Enologo Fantasma
é tutto colore del tuo sacco?3 min read
