E se dessimo una calmata all’enoturismo prima che sia troppo tardi?5 min read

Da tempo mi gira per la testa un idea che definire in controtendenza è dir poco. Riguarda il mondo del vino e in particolare l’enoturismo, oggi fiore all’occhiello del settore e considerato come voce irrinunciabile e economicamente positiva per il settore.

In effetti l’enoturismo, come tutte le nicchie più o meno grandi del settore turismo (cicloturismo,  turismo culturale, turismo del benessere, in generale tutto quello che viene definito con il termine orribile di “turismo esperenziale”)  è una voce importante nel reddito delle cantine, anche perché spesso collegato all’agriturismo e quindi a tutto quello che offre un determinato territorio.

Anche se di enoturismo se ne parla da molti anni è un settore che può crescere molto e qui trovo il punto dolente.

Per spiegarlo parto dal concetto di overtourism, che va di pari passo con il turismo di massa: questo problema è conosciuto da tutti e si cerca, almeno a parole di porvi rimedio. Per adesso non credo nessuno ci sia riuscito, anche perché ora come ora i benefici sono superiori ai problemi che ne conseguono. Ma anche senza overtourism il turismo di massa sta portando masse di turisti ovunque e in particolare nel nostro paese ma quasi sempre a scapito della qualità dei servizi e soprattutto del guadagno che questi servizi danno a chi li offre, a tutti i livelli:  quindi ci guadagnano meno tutti e per poter avere un minimo tornaconto si cerca di tagliare sui costi, sfruttando una marea di persone pronte a essere pagate poco o pochissimo pur di avere un posto di lavoro.

Insomma, il turismo di massa sulla carta porta ricchezza, ma neanche tanto sotto-sotto povertà e sfruttamento.

Veniamo adesso al nostro enoturismo, un settore ancora giovane e, fino ad oggi, riservato a chi ha una certa disponibilità finanziaria. Quando se ne parlava in passato si diceva che bastava una persona o magari gli stessi proprietari della cantina per farla visitare, far assaggiare due-tre vini, e incassare sia per la visita che per le bottiglie di vino eventualmente vendute. In teoria poteva essere così ma oggi l’enoturismo è sempre più richiesto e quindi porta logicamente ad avere un’organizzazione maggiore, ad investire in sale di degustazione, personale che parla due-tre lingue con anche, magari un’infarinatura tecnica riguardo al vino.

Anche questo oggi va bene, ma la mia paura riguarda il futuro, quando l’enoturismo sarà reputato una carta obbligatoria da giocare perché folle sempre più grandi vorranno fare un’esperienza enoica ma, e qui casca l’asino, vorranno farla giocoforza ad un prezzo più basso. Già oggi molte aziende non fanno pagare la visita oppure la propongono a prezzi da realizzo (10-15 euro), cosa accadrà quando il turismo di massa arriverà nel mondo del vino?

Non voglio puntare il dito su nessuno ma due esempi devo farli: la Langa e il Chianti Classico. Nel primo caso il riconoscimento come sito Unesco ha portato da una parte ad un abbassamento del livello qualitativo della proposta gastronomica (sempre abbastanza alta, va detto) dall’altra a visite aziendali dove spesso i turisti non sanno nemmeno cosa vuol dire cantina. In Chianti Classico la situazione non è molto diversa: anche qui il livello della ristorazione si è abbassato e ci troviamo di fronte a problemi sociali non indifferenti.  Sto parlando soprattutto dell’impatto dei cosiddetti affitti brevi che sta spopolando il territorio chiantigiano, perché per i residenti gli affitti sono troppo alti e quindi, pur lavorando nelle cantine locali, molti devono trovarsi casa a 50-60 chilometri dal posto di lavoro. Posto di lavoro che vede arrivare gruppi di  turisti di massa prestati per un pomeriggio all’enotour a prezzo stracciato.

Questo per adesso credo che accada solo nei centri enoici più famosi ma diamo tempo al tempo e sono convinto che si spanderà a macchia d’olio.

Quindi, direte voi, cosa bisognerebbe fare? Dire di no? Chiudere le cantine? Rinunciare a introiti importanti?

Semplicemente programmare con attenzione, magari assieme a chi gestisce politicamente i vari territori, quanto turismo può e deve sopportare una cantina, un ristorante, un agriturismo, un albergo, un ostello, un territorio per poter mantenere servizi di buon livello con guadagni adeguati per chi li propone e soddisfazione per chi li riceve.

Forse anche i consorzi di tutela dovrebbero scendere in campo e ragionare  assieme ai produttori per creare dei range di prezzi da proporre per una visita in cantina: ogni azienda dovrebbe poi ragionare seriamente su quante persone poter ospitare nell’arco di un anno per dare sempre un servizio che verrà ricordato e che deve essere anche pagato adeguatamente.

Sforziamoci adesso di non scendere a compromessi con l’enoturismo di massa o tra qualche anno sarà troppo tardi e ci avranno rimesso sia i produttori, costretti a guadagnare poco o niente pur di rispettare contratti con tour operator,  sia gli enoturisti improvvisati e sia quelli che invece vanno in azienda non per i due mezzi calici ma per imparare e conoscere.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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