Vi domanderete cosa c’entra lo sci con il vino. Probabilmente poco ma non è questo il punto . Sicuramente lo sci e il vino sono state e continuano a essere le grandi passioni della mia vita e in anni in cui il vino ancora non lo era lo sci prendeva lo spazio di tutti e due.
Erano per l’appunto gli anni della Valanga Azzura e quindi quelli di Mario Cotelli, il commissario tecnico nonché mentore e creatore di quel gruppo, che oggi ha messo, morendo a 74 anni, la parola fine a un’epoca breve ma intensa, che cambiò per sempre i costumi di tanta parte dell’Italia.
Prima di lui e della Valanga Azzurra dei Thoeni (due) Gros, Schmalzl (due anche loro), Pietragiovanna, Stricker, De Chiesa e poi Radici, Bieler e altri che adesso mi scordo la settimana bianca poteva essere scambiata con una di quaresima . Furono le vittorie incredibilmente a raffica della squadra guidata da Mario Cotelli (anche grande comunicatore) che portarono in montagna milioni di italiani, fino allora allergici al freddo e alla neve.
Stiamo parlando dei primi anni settanta, il boom industriale aveva fatto comprare a tutti l’auto ma non aveva insegnato a godere del 100% dell’Italia, lasciando le montagne ai ricchi e il mare d’agosto a tutti gli altri. Cotelli da questo punto di vista fu un rivoluzionario, ma come tutti i grandi rivoluzionari fece, dopo anni per fortuna, anche degli errori, pensando che gli altri antagonisti non potessero prendere le contromisure a quella strapotenza dei parvenù italiani dello sci alpino .

Le contromisure vennero prese durante l’Olimpiade di Innsbruck del 1976, quando per Heini Hemmi, un nano svizzero di un metro e sessantatre che sciava con dei 2.13 in gigante (come se oggi uno sciatore della domenica usasse sci di tre metri e mezzo, tanto per capirsi) venne disegnata una seconda manche olimpica in contropendenza da sinistra verso destra e con un numero di porte incredibilmente alto, che il Gustavo nazionale non riuscì ad interpretare e che invece il nano malefico pennellò alla perfezione, vincendo l’oro.
A quel punto essendo diventato nel frattempo un discreto sciatore tra i pali assistetti quasi in diretta alla dissoluzione del grande Mario, evidenziata pochi anni dopo dalle famose zeppe di legno sotto gli scarponi, che i nuovi azzurri come Peter Mally, intanto subentrati alla vecchia leva, dovettero subire per un po’, sciando naturalmente malissimo, come se indossassero un tacco dodici.
Fu il definitivo tracollo e Cotelli dovette lasciare. Cambiarono i modi di sciare, arrivarono altri campioni, ma nel frattempo tutto era nato, stato organizzato e oserei dire metabolizzato grazie a lui, che aveva portato gli italiani in montagna, dato fiato e voglia di fare a centinaia di nuovi e vecchi sci club: in pratica trasformato il mondo dello sci italiano.
Eppure venne dimenticato, messo da parte, quasi come se si dovesse cambiare strada, ma quella che lui aveva creato ha resistito e il terreno, in attesa di Tomba e compagnia, è restato fertile grazie a quello che lui e la Valanga Azzura avevano creato 15-20 anni prima.
Aveva messo in testa agli italiani di poter essere non solo un popolo di santi, poeti e navigatori, ma anche sciatori.
Grazie Mario per essere stato un rivoluzionario della neve, grazie per aver permesso a generazioni di sciatori di sognare davanti a un cancelletto di partenza, grazie per avermi fatto amare e ammirare la montagna.
Ciao Mario, spero che dove sei adesso ci sia una squadra di grandi sciatori da allenare, te la meriti.