Durin: un buon risultato3 min read

Non ci avevamo pensato ma  per noi lo hanno fatto i produttori. Il primo tra questi è stato Durin, produttore ligure, che mandandoci una campionatura esaustiva della sua larga (anche se l’azienda è piccola) produzione ci ha fatto capire che nel nostro sito mancava qualcosa: una specie di “radiografia dei vini” di una determinata azienda, che gli anglofoni potrebbero chiamare screening aziendale. Ma la cosa non era tanto semplice: per dare dei voti dobbiamo riunire una commissione di assaggio e non è la cosa più semplice del mondo. Inoltre di solito assaggiamo i vini bendati e qui invece sappiamo perfettamente a chi appartengono. Allora abbiamo deciso di fare le cose a modo nostro e di non dare di voti ma delle valutazioni che non si fermano ai vini ma coinvolgono anche il packaging (esterofili godete) e, più in generale il modo in cui l’azienda si presenta. Durin non lo sapeva (ma se lo poteva immaginare) che parleremo dei punti forti ma anche delle debolezze, cercando sempre di stare dalla parte del consumatore.

Divideremo l’articolo in alcune parti per darne una più facile lettura

Impatto iniziale.


 

le etichette si presentano bene, sono ben leggibili, con colori accattivanti per i bianchi e molto più austere per i rossi. La nota stonata sono le etichette dei due vini di punta (I Matti e A Matetta) che vanno parecchio sullo scontato e completamente fuori l’accattivante motivo bucolico che riporta al vino, alla semplicità alla schiettezza.

 

Punto a Favore.

 

Questo ce lo giochiamo subito perchè sono i tappi. Tutti i vini hanno tappi in silicone. Se Dio vuole un produttore che, per vini da bersi nell’arco di pochi anni (1-3), non ha paura delle ombre. Non potete capire la gioia di avere la certezza che, stappando, non si corra il rischio di bestemmiare………

 

I vini:


 

In primo luogo sono veramente tanti e con tanti vorremmo dire troppi:17 vini per un’azienda che produce si e no 160.000 bottiglie è una frammentazione esagerata, che porta poco al consumatore e tanto lavoro al produttore. Capiamo che Laura e Antonio Basso lavorano 26 ore al giorno, ma potrebbero anche prendersela più calma e produrre quei 7-8 vini in meno senza stravolgere il loro mercato. Per quanto riguarda l’assaggio, questo ha riguardato 9 etichette, 4 bianchi e 5 rossi.Tutti i vini hanno un comune denominatore: quello di non voler essere assolutamente scontati. Questo è un pregio, ma qualche volta porta a chiedere troppo. É il caso de “I Matti”(Pigato e vermentino) 2005 e di “A Matetta”(Sangiovese, Barbera, Granaccia) 2004  a cui un profilo leggermente più basso avrebbe forse giovato.  Tra i bianchi ci ha fatto innamorare per semplice bevibilità il Mataossu 2005, da uve Lumassina. E’ un vino sapido, fresco, con profumi di mandorla e pesca. Non crediamo sia facile farlo ma è molto facile berlo. Corposamente buono il Vermentino Lunghera 2005 mentre del Pigato 2005 parleremo nel “Punto a sfavore”. Sui rossi ci viene subito voglia di dire “Bravi!”. Erano anni che non bevevamo un Rossese profumato e lineare come questo 2005: un vino che non crediamo possa avere confronti nella sua categoria. E pochi confronti hanno anche la Granaccia e l’Alicante 2005: profumatissimi, rotondi, oseremmo dire quasi sensuali. Due vini che non si dimenticano.

 

Punto a sfavore.


 

I “profumatissimi” Alicante e Granaccia lo sono diventati dopo una lunga permanenza nel bicchiere per perdere una fastidiosa riduzione che abbiamo trovato anche nel Pigato. Crediamo che i problemi siano diversi tra i due rossi ed il bianco (che infatti è rimasto chiuso “forever”) e speriamo che dipendano solo da un imbottigliamento recente.

 

Giudizio finale


 

Dai vini traspare tanta voglia di fare e questo è bello: ci sembra che, partendo da un livello già alto, con pochi accorgimenti di cantina la “quadratura del cerchio” possa essere molto vicina.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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