Degustazione bianchi del Trentino 2019: e se fosse l’ora di aspettare?4 min read

I nostri assaggi dei bianchi trentini, svoltisi in una cornice perfettamente anti-covid, da un lato ci hanno presentato un quadro interessante ma non certo esaltante, dall’altra però come Maometto sulla via di Damasco, ci hanno “fulminato” con una rivelazione che vogliamo condividere con tutti voi. Questa rivelazione qualcuno potrebbe anche definirla Uovo di Colombo, anche se tanto semplice da mettere in pratica non è.

In definitiva i bianchi trentini degustati quest’anno (e negli anni scorsi) hanno un solo grosso problema: sono troppo giovani. A questo punto qualcuno potrebbe citare monsieur de La Palisse o il nostro Catalano, perché pare ovvio che, se si assaggiano i vini appena usciti, questi siano giovanissimi.

Quello che vogliamo dire noi è una cosa diversa: i bianchi trentini, da qualsiasi uva provengano, da anni puntano molto se non tutto sull’immediatezza, sulla prontezza di beva e su un prezzo che (immaginando che i consumatori siano stati colonizzati in precedenza da battaglioni di Pinot Grigio a cifre da realizzo) debba per forza mantenersi basso.

Se questo per certe uve, Pinot Grigio in primis, può essere vero, per le altre, in particolare per le aromatiche e le semiaromatiche, il rischio è che lo standard sia quello del “vino-immediato-facile-a-basso-prezzo” e che l’idea di produrre un vino, sempre non “impegnativo” e non in legno, ma che possa e debba maturare almeno 2-3 anni è quasi uscita dai radar, se non riproponendosi ogni tanto con prodotti pretenziosi ma di scarsa profondità.

Inoltre in una regione  in cui  bianchi la fanno da padrone con oltre il 74% degli oltre 10000 ettari vitati, ci si aspetterebbe  qualcosa di più, o almeno qualcosa di diverso rispetto ai vini freschi da bere subito. Capisco che gran parte delle uve finisce nelle cooperative, che devono remunerare i soci a fine anno, ma la tendenza a fare il vino sempre più immediato per un consumo immediato  rischia di appiattire la regione e di renderla succube di un solo concetto: il prezzo basso.

Ci sono molte altre zone d’Italia che puntano sui bianchi giovani ma nessuna che, avendo le possibilità viticole del Trentino si autocensuri in maniera così chiara, non prendendo praticamente in considerazione la possibilità che quei vini freschi e (spesso troppo) semplici possano diventare con un po’ di attenzione in più nel vigneto e almeno uno, meglio due,  anni di più in cantina, dei vini sempre freschi ma con aromi molto più interessanti e complessi e strutture meno esili e quasi arrendevoli.

Eppure le vigne adatte ci sarebbero: considerate che più del 40% (41.4) del vigneto trentino ha più di 20 anni e oramai meno di 10 anni ha solo il 25% del totale: quindi vigne con potenzialità ci sono, basterebbe utilizzarle nella maniera giusta.

Naturalmente è facile da dirsi ma non è facile da farsi, però per un altro vino trentino è stato fatto. Prendiamo il Trento Doc ad esempio, che sta seguendo strade diverse: anche se ci sono ogni tanto delle cadute di stile e di prezzo i produttori cercano di presentare sempre più millesimati  di livello per far capire che può essere buono anche un Trento Doc senza annata (a proposito, i risultati degli assaggi del Trento Doc arriveranno più avanti). Invece nel mondo dei bianchi non esistono le due corsie o almeno se quella delle “selezioni” (chiamiamola così)  esiste è un rigagnolo quasi stagnante.

Chi di voi ci conosce i nostri dubbi (per non dire di peggio) sugli chardonnay in legno e sui vin in anfora si sorprenderà perché  quest’anno i migliori risultati dei nostri assaggi sono venuti fuori praticamente solo da Chardonnay maturati in legno e da Nosiola invecchiata in anfora. Per il resto tanti vini corretti, ben fatti, ma che mostrano difficilmente un minimo di grinta.

Sicuramente l’annata ci ha messo lo zampino nel rendere la vita difficile ai viticoltori: dai dati presi dal bellissimo e sempre utile  “Profili evolutivi dei vini trentini” che ogni anno il consorzio mette a disposizione di tutti, si vede che le temperature medie sono state più alte nei primi mesi dell’anno  ma più  basse a maggio.  Questo mese ha avuto precipitazioni molto superiori (è piovuto 15 giorni su 31)alla media  mentre giugno è stato molto più caldo della media (25° di media contro uno storico di 21°) ma molto più secco e luglio molto caldo ma più  piovoso (120 mm di pioggia contro una media storica di 90). Con tre mesi così, almeno per quanto riguarda i bianchi, è difficile che agosto riesca a rimettere a posto le cose.

Detto questo però il discorso di fondo rimane e speriamo che i produttori capiscano che continuare a fare del “piccolo cabotaggio enoico” difficilmente  porta non dico a scoprire le Americhe ma, fuor di metafora, , a staccarsi da un tipo mercato che i vini trentini non meritano, quello che guarda solo al prezzo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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