E’ con grande piacere che pubblichiamo un articolo del nostro caro amico Fabrizio Calastri dove si parla di un tema ritenuto spesso inutile: il livello della ristorazione (perché questo dovrebbe essere) nelle case di riposo per anziani. Siamo onorati di poter, grazie a Fabrizio, parlare di un tema tanto importante e speriamo che Fabrizio voglia continuare ad informarci su quanto viene e verrà fatto.
Ricordate Babette, la cuoca bravissima e silenziosa protagonista del racconto di Karen Blixen (da cui tra l’altro è stato tratto il bel film di Gabriel Axel)? Fuggita alle persecuzioni della polizia parigina (era una “comunarda”), trova ospitalità in una comunità di religiosi bigotti luterani in un paesino affacciato su un fiordo norvegese.
Babette un giorno vince una lotteria e decide di investirla in una cena memorabile per tutti gli anziani seguaci della dottrina puritana del maestro recentemente scomparso. Fa arrivare dalla città tutto quello che le serve e poi cucina, cucina e porta in tavola per la gioia ritrovata di vivere, lo stupore ed il godimento di chi mangia. E così il piacere del cibo aiuta a liberarsi, a vivere meglio e senza sensi di colpa. La generosità del cuoco riesce a provocare ancora una volta un sorriso.
Con il titolo “I pranzi di Babette” è nata l’idea di avviare un progetto per il miglioramento della qualità dell’alimentazione nelle case di riposo e negli ospedali dove regna la cosiddetta “ristorazione collettiva”, fondata in prevalenza sulla quantità, alla continua ricerca di una riduzione dei costi, peraltro accentuata in questi tempi non certo economicamente floridi.
E così si viene a sapere che ci sono case di riposo che aggiudicano appalti pagando una “giornata alimentare” (colazione, pranzo, merenda e cena) ben 6 euro. Ma cosa mangiano questi anziani? Mangiano, per esempio, il pangasio, ovviamente congelato, e se andate a vedere il livello d’inquinamento dei fiumi asiatici dove viene pescato vi vengono i brividi. Così come fa venire i brividi la procedura standard raccontata con la massima naturalezza dai tecnici della ristorazione collettiva (non solo ospedaliera): “cuoci – raffredda – congela – rigenera – servi”.
Chi lavora nelle case di riposo sa fin troppo bene che gli anziani aspettano, spesso con entusiasmo, il momento di andare a tavola; perché è uno dei pochi gesti rimasti a dare un ritmo di normalità alla giornata, perché è un’occasione per chiacchierare, per ricordare e discutere di altro cibo, quello di casa, quello di un tempo. Ma molto spesso quello che c’è nel piatto non dà grandi motivi di entusiasmo.
Il gusto è ormai sempre più omologato, nei piatti ci sono le stesse cose, a Bolzano come a Cagliari, a Bari o a Palermo. E invece sono proprio loro, gli anziani, quelli che oggi hanno le radici più forti con il loro territorio; sono quelli che non hanno mai mangiato un hamburger, sono quelli che sapevano usare le erbe selvatiche, sono quelli tra le cui mani sono passati quintali di farina per fare la pasta tipica della loro zona.
Insomma, anche qui servirebbe semplicemente un po’ più di umanità e di attenzione ai bisogni dei singoli.
I “pranzi di Babette” vuole essere semplicemente “un progetto pieno di tenerezza e generosità, d’amore per il tempo, per la conoscenza, per quei torrentelli di memoria che seguono il tracciato delle rughe dei vecchi”.
Una volta ho sentito un anziano di quasi novant’anni che ha chiedeva di poter mangiare una salsiccia, nonostante questo contrastasse con la sua patologia (colesterolo, ipertensione ecc.) e quindi fosse stata bandita dalla sua dieta. Voi cosa avreste fatto?