CO₂ “in bottiglia”: è l’ora di finirla!4 min read

Indicatori di sostenibilità….. la mia formazione  umanistica non mi porta con facilità a comprendere e presentare concetti scientifici.

Per questo per spiegare le prime due parole userò quelle che le giovani e competenti fanciulle del gruppo Indaco2 (società senese nata da un gruppo all’interno della locale Università, www.indaco2.it) hanno usato per cercare di spiegarlo a me.

 

“Gli indicatori di sostenibilità permettono di comunicare informazioni sulle prestazioni ambientali di un prodotto.”  Guardandomi negli occhi vagamente bovini hanno capito che dovevano fare di più e così mi hanno fatto un esempio “Grazie agli indicatori di sostenibilità riusciamo a misurare quanta CO₂ viene emessa nelle varie fasi del ciclo produttivo di una bottiglia di vino, dall’impianto del vigneto fino a quando viene bevuta.”

 

Così ho capito. Grazie a questi indicatori di sostenibilità si può monitorare tutto il percorso produttivo (di un vino, ma di qualsiasi prodotto agroalimentare) sia a livello di impatto che di consumi (elettricità, carburanti,  materiale d’uso, etc.).

Il gruppo Indaco di Siena si è specializzato in questi controlli di sostenibilità e, pur avendo monitorato non molte aziende, si è imbattuto in dati veramente interessanti. Prima di parlarvene però mi sembra giusto sottolineare che il progetto è nato dal Ministero dell’Ambiente nel luglio 2011, per conoscere e misurare i livelli di sostenibilità della filiera vite-vino. A questo progetto hanno inizialmente partecipato alcune grandi aziende vitivinicole italiane, varie università e enti di ricerca.

 

In soldoni le nostre amiche di Indaco vanno in una azienda e, partendo dalla creazione del vigneto, prendono una serie infinita di dati per capire quanto è costato, in termini di CO₂ prodotta, arrivare alla bottiglia di vino finita (da quei dati si possono capire anche altre cose ma ne parleremo un’altra volta). Per esempio: quanta gasolio è stato e viene usato per le lavorazioni, quanto rame, zolfo o altri prodotti viene utilizzato in vigna, quanta elettricità si utilizza nelle varie fasi di cantina, con particolare attenzione (e qui casca l’asino) all’imbottigliamento.

 

Tutti questi dati vengono inseriti in un data base che studia i parametri ed emette un “giudizio carbonico” che per molti (per me sicuramente) sarà molto interessante anche se piuttosto spiazzante, pur prendendo questi dati con le dovute cautele, visto che si riferiscono per adesso a due sole aziende.

 

Per produrre una bottiglia di vino biologico (foto 2) vengono emessi 860 grammi di CO₂, che si produce per il 37% con l’impianto e con le lavorazioni in vigna, per il 7% con la maturazione del vino in cantina e per il 56% con tutte le altre lavorazioni di cantina. Questo dividendo la cosa in tre grandi famiglie, ma all’interno di ognuna ogni momento lavorativo ha una sua “valenza” e andando in profondità il momento che produce  più CO₂  e  quello dell’imbottigliamento, comprensivo della  creazione e del trasporto della bottiglia in vetro che, naturalmente, più pesa  più impatta.

 

Per produrre invece una bottiglia di vino non biologico (foto 3) vengono prodotti 1100 grammi di CO₂, quindi una cifra superiore di quasi il 30% e non è certo poco. Di questi 1100 grammi però solo il 28% è di pertinenza del vigneto (in percentuale meno rispetto al biologico) il 5% dell’invecchiamento del vino e ben il 67% delle lavorazione di cantina, anche qui con l’imbottigliamento e la bottiglia al primo posto come “cause scatenanti”.

 

Mi accorgo che sto andando per le lunghe e quindi cercherò di riassumere in breve alcuni temi molto interessanti  che, a partire da questi dati, possono essere discussi.

 

1.Le lavorazioni in cantina producono dii gran lunga più CO₂ dei lavori in campo.

 

2.Se questi dati venissero confermati in futuro, una conduzione biologica del vigneto è percentualmente meno sostenibile di una tradizionale. Se vi sembra poco…

 

3.L’imbottigliamento con tutto quello che concerne la creazione della bottiglia, la sua spedizione al produttore, il suo stoccaggio, il suo invio nel mondo e alla fine il suo riciclaggio è di gran lunga l’elemento che porta a produrre maggior  CO₂. E’ quindi l’elemento meno sostenibile della filiera, SPECIE SE VENGONO USATE BOTTIGLIE PESANTI.

 

4. In particolare i produttori biologici non dovrebbero cercare di diminuire l’impatto del vetro per non inficiare tutto il lavoro fatto in vigna e in cantina?

 

Questi primi quattro temi (ma se ne possono trovare molti altri) credo valgano da soli un bel numero di discussioni che saremo felici di ospitare.

 

Per quanto ci riguarda da sempre Winesurf lotta perché le bottiglie diventino più leggere e questi dati ci danno ancora più forza per continuare su questa strada. Prossimamente dovremmo riuscire ad ottenere da Indaco i dati relativi a come aumenta la produzione di CO₂ in relazione all’aumento del peso della bottiglia. Con questi dati in mano potremo dire con precisione quanto una bottiglia pesante non è sostenibile: a quel punto ogni produttore, biologico o tradizionale, dovrà fare i conti con la propria coscienza.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



0 responses to “CO₂ “in bottiglia”: è l’ora di finirla!4 min read

  1. Dei materiali alternativi al vetro (dal BiB al tetrapak sono tutti più sostenibili del vetro in termini di emissioni) cosa ne pensi?

    Ps la tua formazione umanistica Carlo non sia un impedimento a trattare temi scientifici se lo fai (bene) come in questo caso 😉 fallo più spesso dai!

  2. Altri contenitori come quelli che citi hanno purtroppo un problema di “immagine” che, almeno in Italia, li fa considerare come adatti solo per vini di serie B o C. in realtà  sarebbero ottimi anche per la serie A. Ma già  riducendo il peso delle bottiglie in maniera drastica si può fare molto, e soprattutto evitare di buttare alle ortiche il proprio credo e il proprio lavoro, come, per esempio, se sei biologico o biodinamico.

  3. Mi pare opportuno precisare che il confronto si riferisce a due aziende campione, quindi non è detto che chi produce in biologico produca meno CO2 di chi produce in convenzionale, a meno che non usi il cavallo al posto del trattore. In genere a livello viticolo è il contrario, in quanto in bio si fanno più trattamenti. Però come hai visto il lavoro in campagna non ha un’incidenza cosଠforte sul totale, inoltre quello della emissione di CO2 è solo uno degli indici di sostenibilità . Anche gli altri (consumo di acqua, emissione di inquinanti, consumo di energia) sono comunque tutti a sfavore del vetro pesante.

  4. Il problema di tutti questi eleganti calcoli cartacei è che sono solo carta, studiata apposta per fare effetto agli umanisti come te. E non è un caso che non nascono da una facoltà  di agraria, dove studiano la vigna e non la filosofia o i calcoli astratti. Quello che avrebbe detto una ricerca seria è che tre azioni riducono l’impatto sul CO2; rendere più efficienti (per cui meno “energivore”) tutte le fasi di lavorazione, adottare confezionamenti più leggeri e ridurre l’uso di prodotti chimici. Ma avrebbe anche premesso che tutto ciò lo può fare sia una cantina bio che una normale. E c’è di peggio; le aziende bio sono piccole e hanno in genere molta più attenzione alla qualità  e, di conseguenza, fanno quasi tutto a mano con un impiego di manodopera che è da cinque a dieci volte superiore alla grandi aziende. Fanno più trattamenti e hanno macchinari piccoli, lenti e in genere vecchi che consumano moltissimo per unità  di prodotto. Per cui consumano moltissimo CO2 equivalente. Invece le grandi aziende usano mezzi veloci, energeticamente efficienti e fanno enormi economie di scala, per cui sull’unità  di prodotto sono molto meno “energivore” anche se magari fanno vini peggiori; ne consegue che non solo Tavernello con il brick, ma anche ogni altro grande produttore ha molto meno “impronta” di qualunque bio. Anche senza tanti calcoli complessi (diffida dei calcoli troppo complessi, usa il rasoio di Occam!) ognuno sa che la produzione di una bottiglia costa tre o quattro volte di più a un bio che all’industria, e (salvo miracoli o casi molto particolari) una produzione cosଠpiù costosa non può generare un minor consumo di CO2 equivalente. Questo però non è politicamente corretto e, guarda caso, quella bella ricerca basata su due sole aziende che citi (e che scientificità  ha una ricerca basata su 2 aziende 2?) dice tutta un’altra cosa. Ma perché non si limitano a dire che sia il mangiare sano e la qualità  ci danno una vita migliore, però hanno un costo e anche sul CO2?

  5. Molto di quello che dici è vero ed io non posso certo mettermi a sindacare su quali siano i parametri giusti, i programmi giusti, l’approccio scientifico giusto al problema. Però anche tu ammetti che, giustamente o meno, un vino bio è meno sostenibile di un tradizionale. Su questo argomento potremo discutere con maggiori dati proprio quando questi dati ci saranno. Non mi nascondo dietro al dito delle due aziende monitorate che, quasi come il Movimento 5 Stelle, valgono statisticamente uno. Quello che volevo far notare e che per me è importantissima una cosa che diciamo da tempo: è inutile essere biologico se poi usi bottiglie pesanti, che inquinano moltissimo. In generale sarebbe l’ora di finirla con le bottiglie pesanti. Per puro caso questa nostra idea ha trovato conferme scientifiche, che spero molto più approfondite in futuro e di cui non potevo non far tesoro. Son d’accordo con te che “entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem” e proprio per questo mi viene da chiosare “Bottiglia non sunt appesantenda praeter necessitatem”

  6. E per restare sul latino maccheronico, non sarebbe anche finalmente l’ora di dire che “sughera non sunt allungando sine necessitatem”?

  7. Hai ragione Stefano! Occam ti avrebbe risposto “Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora.”

  8. 1. D’accordissimo sull’importanza di alleggerire le bottiglie,è vero, il risparmio di co2 è notevole
    2. Se fate i conti, (dai dati proposti e per quello che valgono), si ricava che comunque il vigneto bio in questione produce co2 appena poco in più del convenzionale(fate le moltiplicazioni)
    3. Dal calcolo manca comunque un aspetto significativo: l’aumento di sostanza organica in un vigneto coltivato con tecniche organiche “sequestra” quantità  molto rilevanti di co2, ci sono studi importanti al riguardo.questo ha a che fare con inerbimenti, minori lavorazioni, compostaggio,quindi non solo con l’eliminazione di prodotti chimici di sintesi
    4. Non è necessariamente vero che in un vigneto bio si fanno più trattamenti che in uno convenzionale, dipende da come si fa il bio
    In conclusione mi sembra interessante porsi i problemi in maniera complessiva e attenta ma occhio alle semplificazioni!

  9. Uno studio basato su 2 sole aziende non può avere nessuna pretesa di fornire risposte, semmai può generare domande. Ogni azienda o meglio ogni persona ha una propria coscienza e matura una propria personalità  sui temi ambientali, comportandosi nella vita privata e sul lavoro (anche di viticoltore) di conseguenza. Per la mia piccola azienda è stato un piacere adottare la bordolese ultra leggera da 360 gr. anziché 400, ma a farla produrre sono state le grandi aziende per le quali risparmiare uno 0,02 a bottiglia vuol dire risparmiare due stipendi a fine anno! Bene cosà¬, ciò che conta in fondo è il risultato: migliorare le prospettive dei nostri figli e nipoti.
    Sul discorso del bio è importante quanto scrive Roberto, l’inerbimento (tecnica più diffusa nel mondo bio) ha un ruolo importante cosଠcome tutte le strtegie adottate per aumentare la sostanza organica nei terreni. Il bio fatto male esiste, e magari costringe a molti trattamenti. Ma il convenzionale fatto male cosa produce? Li vedete tutti i vigneti con l’erba arancione sotto la fila in questi giorni, no? C’è anche chi per risparmiare diserba tutte le testate e i fossi intorno al vigneto! E poi ci meravigliamo se le falde acquifere sono piene di glifosate… Ovviamente questo è solo il primo trattamento di diserbo, ne seguiranno per i non attenti convenzionali un paio ancora durante la stagione. E poi insetticidi per “prevenire” la tignoletta mentre ogni bio (bravo o no) è costretto a mettere le trappole e controllare i voli e poi le uova per colpire nel momento esatto le larve di lobesia botrana, altrimenti è inutile andare a spruzzare il bacillus.
    Fare bio obbliga ad andare verso produzioni di qualità , non ci sono scappatoie. Questa è la vera e unica differenza.

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