Siamo nelle valli piacentine dove la viticoltura copre circa 5.000 ettari coltivati di territorio collinare; 25 i vitigni presenti e tra questi 4 ricoprono circa l’80% della superficie totale: Barbera e Croatina a bacca rossa, Malvasia di Candia Aromatica e Ortrugo a bacca bianca.
Nel mio viaggio nella Val Nure e Val Chero non potevo non incontrare la malvasia di Candia aromatica, essendo i colli piacentini territorio eletto per questo vitigno. Le uve sono principalmente destinate alla produzione di vini frizzanti secchi o semisecchi, fermi e a vini dolci frizzanti o passiti. Un vino di carattere che ha nel vin santo la sua espressione più intensa.
La malvasia è un vitigno storico molto diffuso: in Italia oggi esistono 19 varietà a nome malvasia, 12 bianche, 6 rosse e una rosa. 19 varietà e dunque 19 differenti dna frutto di viaggi, scambi commerciali ed esigenze di mercato. A Piacenza c’è la malvasia di Candia aromatica e di vini “Malvatici” prodotti a Piacenza ne scrive per la prima volta Andrea Bacci della De Naturali Vinorum Historia del 1596.
La Tosa e il suo Museo della vite e del vino
Il nostro tour ci ha portato a La Tosa, dove abbiamo potuto conoscere più da vicino la Malvasia di Candia Aromatica Passita, ottenuta da una vendemmia molto particolare, come sottolinea il titolare Stefano Pizzamiglio che ripete ai suoi di “muoversi come bradipi, molto lentamente”, tanto deve essere delicata e chirurgica la raccolta dell’uva perché “gli acini non si devono staccare dal pedicello”. Le ciocche dell’uva vengono letteralmente adagiate in cassette di cartone di una capienza massima di 4 kg. Una raccolta molto dedicata proprio “per non portare muffe cattive”. Nella sala di appassimento abbiamo visto riposare le uve vendemmiate il 5 settembre di quest’anno: un appassimento abbastanza breve a cui segue una fermentazione e un affinamento poco prolungato per un vino che uscirà sul mercato a settembre del prossimo anno.
A La Tosa è anche possibile scoprire il territorio visitando il Museo della vite e del vino, realizzato da Ferruccio Pizzamiglio, che dal 1988 ha raccolto oltre 400 oggetti, in un periodo compreso fra inizio Ottocento e inizio Novecento, che raccontano la vitivinicoltura locale e che sono disposti secondo un itinerario di visita suddiviso per lavorazione e arricchito da didascalie, spiegazioni, illustrazioni e video con tanto di biblioteca.
In questo primo assaggio di territorio, lungo la strada dei vini e dei sapori dei colli piacentini, grazie al progetto Emilia Wine Experience, abbiamo ascoltato anche il racconto dell’azienda Il Monastero, con la sua corte appartenuta ad un antico convento olivetano un podere di 50 ettari con prodotti bio, permacultura e alimentazione etica. E’ Alberto Negri che ci parla delle origini toscane del monastero, dove sulla formella viene riportata la data del 1586 dell’arrivo dalla Toscana appunto di questo ordine di frati. Da quattro generazioni “coltivano il cambiamento ma conservano la tradizione”, è questo il loro motto per valorizzare l’appartenenza al territorio.
Il Castello di Grazzano Visconti
Nel tragitto, a eguale distanza da Podenzano e da Vigolzone, si trova Grazzano Visconti, il suggestivo villaggio riconosciuto “Città d’arte” dalla Regione Emilia Romagna nel 1986, dove il tempo sembra essersi fermato al Medioevo. Una tappa d’obbligo con la visita al castello che risale al 1395 e al suo parco di circa 5 ettari. Completamente ristrutturato e riarredato da Giuseppe Visconti di Modrone secondo il gusto dell’epoca, il castello appartiene oggi agli eredi del duca. Il paese, tutt’ora abitato, è accessibile tutto l’anno e la visita è molto suggestiva soprattutto in occasione di manifestazioni in costume che si svolgono prevalentemente in primavera e autunno.
Tra le cantine storiche di questo territorio c’è l’azienda Barattieri, Qui, nella vinsantaia, riposano soltanto i migliori grappoli di Malvasia di Candia Aromatica, in appassimento sui graticci per circa 70 giorni. Successivamente nei caratelli inizia il percorso della fermentazione, grazie alla “madre”, che ci dicono risalga addirittura al 1824, e ne caratterizza struttura e carattere. Dopo 10 anni il vino viene imbottigliato ed è necessario un altro anno di affinamento per gustare il Vin Santo Albarola Val di Nure, fiore all’occhiello dell’azienda.
Ma l’azienda coltiva anche la croatina ed è quindi il momento giusto per fare una precisazione. La croatina viene chiamata localmente bonarda ed è un vitigno dall’origine tuttora sconosciuta. Per le sue caratteristiche ben si presta ad essere utilizzata in uvaggio con altre uve, come ad esempio con la barbera nella produzione del Gutturnio. E’, come dire, la varietà “madre” dei vini rossi tipici di questi territori.
Il Castello di Gropparello e la zucca della regina.
Completamente immersi nelle valli piacentine ci dirigiamo verso il Castello di Gropparello, di proprietà della Famiglia Gibelli dove, secondo leggende popolari, abiterebbe il fantasma di Rosania Fulgosio, una giovane donna, vissuta nel 1200, rimasta vittima della gelosia del marito.
Si tratta di una maestosa fortezza medievale, sospesa sulla cima di una rocca nella Val Vezzeno che i proprietari hanno voluto valorizzazione rendendola accessibile al pubblico anche se residenza privata e dove, nei boschi circostanti, si trova il Parco delle Fiabe, il primo parco emozionale per bambini d’Italia, nonchè il Museo della Rosa Nascente con 108 varietà diverse di rose.
Sono Maria Rita Trecci Gibelli, insieme alla figlia Chiara Maria Gibelli, che ci propongono una visita guidata al castello e un pranzo dove una menzione speciale spetta alla pietanza principale la “Zucca della Regina”, un piatto storico delle corti emiliane e lombarde con parmigiano, uovo, prezzemolo e aglio e una lenta cottura al forno. In questa occasione, all’interno del giardino delle rose, abbiamo potuto assaggiare anche il loro extravergine piacentino certificato.
Coppa Piacentina e Grana Padano
Non poteva mancare, nel tour organizzato lungo la strada dei vini e dei sapori dei colli piacentini una degustazione di salumi. I tre salumi tipici protetti con il marchio dop sono la coppa, la pancetta e il salame piacentino. Due invece i formaggi dop il Grana Padano e il Provolone Valpadana. Territorio e tradizione ci sono stati illustrati nel salumificio Giordano a Carpaneto proprio ai piedi delle colline dove il microclima costituisce un’ottima base per la stagionatura dei salumi.
Artigianalità, storia e stagionatura nelle parole del titolare Giuseppe Michelazzi che ci ha proposto in assaggio la sua produzione. In particolare ho apprezzato molto la coppa piacentina che, come da disciplinare, prevede che le carni provengano da suini nati, allevati e macellati esclusivamente nelle Regioni Emilia-Romagna e Lombardia. Dal sapore dolce e delicato, con una leggera sapidità e una consistenza morbida, propongo di abbinarla con l’Ortrugo dei Colli Piacentini, vitigno autoctono, che prodotto nella tipologia frizzante, prende il nome dal vitigno ed è un vino a bacca bianca molto diffuso sui colli piacentini.
In chiusura visita al Caseificio Santa Vittoria, a Ciriano di Carpaneto e alle megastrutture dove nasce e riposa il Grana Padano DOP, prodotto dalla trasformazione di latte assicurato da 21 soci piacentini, con una produzione annua di 60mila forme. Attualmente la più grande cooperativa di trasformazione del latte della provincia di Piacenza.
Credo che questo sia il modo migliore per scoprire un territorio: partendo dal suo patrimonio agroalimentare per risalire alla storia delle coltivazioni agrarie, agli allevamenti, alla cultura enogastronomica e ai luoghi dove apprezzare una terra generosa e il saper fare artigiano.