Calano i consumi, che fare ?4 min read

E’ con grande soddisfazione che diamo il benvenuto tra le fila di Winesurf ad uno dei giornalisti enogastronomici più famosi, conosciuti ed apprezzati. Con questo articolo Andrea Gabbrielli inizia una collaborazione che, siamo sicuri, darà ottimi frutti. Benvenuto Andrea!

 

E’ recente la notizia che il consumo procapite di vino della Spagna, il paese più vitato d’Europa, è calato a 9,5 litri (Fonte: “Distribucion y Consumo” su una ricerca Mercasa). Non stiamo parlando di un lontana località orientale sprovvisto di uva e di vino bensì di una dei più importanti paesi produttori d’Europa che può vantare aree produttive tra le più famose del mondo. Rioja, Penedes, Ribera del Duero, Jerez e l’elenco potrebbe continuare a lungo, sono denominazioni prestigiose da cui nascono grandissimi vini.

Se Atene piange, Sparte non ride. Nel nostro Paese fortunatamente siamo ancora molto lontani da questi livelli di consumo ma ciò non toglie, che nell’arco di 40 anni siamo passati da 110 litri procapite agli odierni 40. Il problema è che realisticamente prevedere dove e quando questo ormai costante e per certi versi inesorabile calo dei consumi si fermerà, è un esercizio davvero complicato.

Campagne antialcol, etilometri, cambiamento delle abitudine di vita e alimentari spiegano, a mio giudizio, solo in parte questa disaffezione sempre più marcata nei confronti del vino. La tendenza è infatti quella di un ulteriore decremento e sinora, considerati i dati riportati in precedenza, si tratta di una perdita secca di 1 litro all’anno.

In un commento la rivista spagnola che ha pubblicato l’inchiesta sui consumi iberici, osserva che le generazioni più giovani hanno scelto la birra e gli alcolici a scapito del vino, “ un prodotto percepito come elitario e costoso, consumato prevalentemente da persone anziane”. Secondo la relazione annuale sul consumo di alcol, stilata dal Ministero della Salute italiano, ci sarebbero 8,5 milioni di italiani a rischio abuso, specie i ragazzi al di sotto dei 16 anni, attratti dal consumo fuori dai pasti e dal “binge drinking”. Un’altra inchiesta denominata “Naso rosso”, promossa dal Ministero della Gioventù e dall’Istituto Superiore di Sanità, pubblicata in questi giorni,  sostiene che secondo un primo bilancio l’abuso di alcol riguarda il 34,6% dei giovani che arriva in discoteca già con un tasso di alcol nel sangue superiore al limite dello 0,5 concesso dalla legge per poter guidare.

Detto per inciso recentemente ho sentito il sen. Oliverio della Commissione agricoltura del Senato, intervenuto durante un convegno di Confagricoltura svolto a Roma, raccontare che se oggi tra i deputati e senatori si sollevasse il problema dell’innalzamento del limite dello 0,5 di alcol nel sangue ” si correrebbe il rischio di vederlo ulteriormente abbassato”. Insomma la  situazione non è proprio rosea. Da questo punto di vista il giudizio dei giovani spagnoli sul vino – bevanda vecchia –  credo si possa tranquillamente estendere anche agli italiani. Anche perché il settore vinicolo è già da qualche anno in sofferenza e a parte un gruppo nemmeno tanto grande di aziende strutturate che esporta, un ulteriore contrazione dei consumi sarebbe davvero fatale per molti.

Che fare ? Forse sarebbe il caso di rivedere molte cose ad iniziare da come il vino si comunica. Se da parte delle cantine continua ad esserci una sottovalutazione anacronistica delle possibilità offerte dalla Rete e in generale delle nuove tecnologie, da parte del mondo editoriale in tutte le sue molteplici sfaccettature, c’è spesso un impiego di concetti e di linguaggio che a dir poco poteva andare bene, trent’anni fa. Il mondo è cambiato, il vino pure e anche la comunicazione non è più la stessa. Già perché i consumi non dovrebbero calare se il vino viene vissuto sempre nello stesso modo di quarant’anni fa  ?  Urge piccolo dibattito.

 

 


 

Ditemi voi….


“Il vino è tra i prodotti di consumo il demarcatore di contesto per eccellenza, associato- più degli altri- ad insiemi ricorrenti di elementi sociali, situazionali e culturali. ……..una cultura del bere dalle radici antiche, intessuta di elementi mistici e misteriosi, e per questo luogo privilegiato di costruzione di mondi ideali nei quali riordinare l’esperienza, definire gli eventi attraverso anche la ricerca di una estetica del vino e della possibilità della sua misurazione estetica”.


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Il brano è tratto dall’editoriale de Il Sommelier – Settembre-Ottobre 2010 n°5 a firma del direttore Roberto Rabachino anche presidente (sic) dell’Associazione Stampa Agroalimentare)

Andrea Gabbrielli

Quello che hai appena letto è un post scritto da un ospite speciale per Winesurf, che non troverai costantemente nel giornale.


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  1. Ci vorrebbe un diverso impiego del tempo da passare con i figli, invece di parcheggiarli davanti ad un qualsiasi schermo. Qualche week-end in giro per cantine, qualche pasto in più tutti insieme, con una bottiglia di vino sul tavolo, aborrendo la Coca Cola per i piccoli. O vino o acqua.
    Io non trovo che la birra sia meno cara del vino, almeno in Italia. Solo che la birra, specialmente quella dozzinale, é gassata proprio come le soft-drinks e per gli adolescenti é un passaggio naturale, se hanno il palato abituato a questo tipo di sensazione.
    In quanto alla comunicazione c’é ancora tanto da fare. Molti blog specializzati mi sembrano già  un passo avanti rispetto alla carta stampata. I giovani italiani comprano e leggono pochissimo i giornali, ma passano ore navigando sul web, sta quindi a chi se ne occupa cercare di coinvolgere gli under venti.

  2. E lo sapevo che toccava a noi! Poveri vecchiarelli che hanno scoperto il web e che ora devono usarlo per educare i giovani al vino. Impresa che fa tremar le vene ai polsi. A parte gli scherzi. Nellenuvole ha ragione, soprattutto in quel che fa intendere: se educando le giovani leve non si riuscirà  a fargli capire quanto è bello e quanto è buono conoscere il vino e berlo con intelligenza la battaglia è persa in partenza, perchè il vino non può avere i soldi per nessuna campagna televisiva a tappeto. Si rischia di essere veramente assertori di un prodotto vecchio e superato. Superato da quelli che ti sballano più velocemente o da quelli che sembra non abbiano alcol e invece cel’ hanno e come. Vorrei inoltre far notare il virgolettato finale di Andrea: se il vino continua ad essere comunicato cosଠil rischio non è quello di far bene meno ma di passare per persone di un altro pianeta.

  3. Forse bisognerebbe saper raccontare di più e meglio (di quanto già  si fa ora) i vini meno impegnativi, più piacevoli, beverini e da consumo più di tutti i giorni. Eppure, ancora oggi, facendo giri su certi blog o riviste, si esaltano quasi solo i vini importanti, troppo costosi per un consumatore medio e difficili da bere per i giovani o in occasioni “normali” di consumo.
    Secondo me una parte della colpa è proprio di una “cattiva” comunicazione del mondo del vino, troppo orientata verso una fascia alta del prodotto, da parte sia dai produttori che dai giornalisti del vino. E’ una comunicazione che non riesce a trasmettere al pubblico, soprattutto se giovane, il piacere di un consumo più semplice di questa bevanda.
    Diventa più facile allora, quando si deve bere qualcosa di poco impegnativo o poco costoso, prendere piuttosto una birra!

  4. Ma lo sa, cara Annalisa, che ha proprio ragione! ne sono talmente convinto che uno dei parametri principali di winesurf è la piacevolezza di un vino. Infatti troppo spesso si prende un vino (pagandolo caro) e si scopre che non è pronto, non è adatto, non è ….Un giovane ci prova una volta, poi torna alla birra e ce lo siamo perso, forse, per sempre. Da una parte tanta stampa (anche noi, non vogliamo nasconderci, qualche volta lo facciamo) glorifica vini introvabili o buoni dopo millenni, dall’altra però molti vini “piacevoli” e facilmente reperibili sono in realtà  robette semplici e magari taroccate. La strada non è facile ma il suo intervento ci sprona a proseguire sulla strada della piacevolezza.

  5. Anch’io la penso come la signora Annalisa. Nei giovani c’è spesso perfino un certo timore ad ordinare un vino al ristorante. Perché hanno paura di fare scelte sbagliate, di non essere all’altezza della situazione. àˆ chiaro che ordinare una birra, se non un Coca, è (apparentemente) assai semplice, cosଠnon ci si sbaglia e non si fanno figuracce.
    Concordo anch’io nello spostare l’obbiettivo sui vini piacevoli e beverini, facili, che non per questo debbano essere robetta. In ogni caso meglio iniziare con un vino facile e non eccelso, che ordinare una birra. O peggio ancora pranzare ad acqua!
    Non credo che sia una cosa facile, perché c’è tutta una serie di soggetti che dovrebbero cambiare rotta e linguaggio. E per primi credo proprio che tocchi a chi scrive di queste cose.

  6. Sono d’accordo che la comunicazione nel settore enologico si è un pò fossilizzata su stereotipi ormai superati e soprattutto continua a parlare dei “soliti noti”. Però credo che il fattore principale del calo dei consumi sia motivato da una ragione che non necessita di pareri di esperti con master ad Harvard in economia: non ci sono soldi e tra le prime rinunce del consumatore medio il vino purtroppo sembra attestarsi ai primi posti …il fatto che il mercato spagnolo, notoriamente vittima di una depressione economica da paura come il nostro e peggio del nostro è indicativo. Poi aggiungiamo lo spauracchio dell’etilometro, il “blocco” quasi totale di iniziative promozionali aziendali (almeno in Piemonte è cosà¬) il considerare Internet da parte delle cantine come una specie di giocattolo in uso gratuito e sostanzialmente inutile (secondo loro…) e ce n’è abbastanza per non proseguire oltre per non cadere in depressione. Vinelli giovani ed a buon mercato come soluzione? Ho dei dubbi che serva a qualcosa……vedremo…..

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