Basilicata Stories: buona la prima!5 min read

Ingegnere carissimo buongiorno!” dice al cellulare,  con voce impostata, l’uomo beatamente appoggiato ad un palo di ferro, mentre sembra non accorgersi del caotico traffico napoletano attorno a lui. Se ne deve accorgere però l’ingegnere, perché dopo un attimo il mio uomo aggiunge, grattandosi ancor più beatamente la pancia “Nooo! Che dite! Ho aperto mo’ la finestra dell’ufficio”.

Questa scena mi ha rallegrato la passeggiata dalla stazione di Napoli fino a Palazzo Caracciolo, dove stava per iniziare la prima edizione di Basilicata Stories. E qui non ci sono fraintendimenti, non ci sono “finestre aperte ” sulla Basilicata anche se siamo a Napoli, perché la prima edizione di Basilicata Stories si tiene effettivamente a Napoli, diciamo come ricco preludio a Campania Stories.

Un preludio di ottimo livello, sia per i vini presentati sia per l’organizzazione  di Miriade & Partners, che è riuscita a far trasferire ben 18 produttori delle non molte DOC della Basilicata fino a Palazzo Caracciolo, a pochi metri “dall’ufficio” del mio amico…

Una bel numero di giornalisti ha prima ascoltato una precisa e puntuale presentazione del mondo enoico tra Potenza e Matera fatta da Monica Coluccia, per poi andare a degustare circa 50 vini nella solita perfetta location e serviti in maniera impeccabile dai sommelier di AIS Campania.

Dopo la degustazione un breve riposino e poi si è conclusa la giornata in gloria assaggiando ottime cose, sia ai tavoli con i produttori sia ai tavoli apparecchiati di buonissimi salumi e di spettacolari mozzarelle.

Sto scrivendo mentre qualche collega è sempre impegnato nel “duro lavoro” di selezione tra un Aglianico del Vulture e una mozzarella campana, perché voglio riportare a caldo alcune sensazioni della degustazione professionale che ha spaziato dai bianchi, ai rosati ai rossi, sia del materano che del potentino.

45 vini non sono pochi per inquadrare una realtà che produce  lo 0.17% del vino italiano, cioè circa 86.000 ettolitri da quasi 2000 ettari di vigneto: questi sono 1500 in provincia di Potenza e 500 in provincia di Matera. Il bello è che le due province sembrano lontane anni luce, non solo e non tanto per la qualità del vino prodotto, ma per utilizzare vitigni completamente diversi. Se infatti nel potentino l’aglianico la fa da padrone nel materano si passa dalle uve bordolesi al primitivo con qualche fuga nel sangiovese, mentre il campo delle uve bianche  è riempito dal moscato e dal greco. Niente di più diverso quindi e anche i risultati sono figli di una storia viticola che sicuramente ha molte più radici nel potentino.

Ma andiamo con calma: per prima cosa due righe sui pochi bianchi degustati,  che certamente non sembrano essere l’arma per scardinare il mercato; forse se si decidesse di non puntare su prodotti con diversi grammi di zucchero residuo sarebbe meglio, ma l’esiguità della produzione non mi permette di prendere una posizione precisa. Lo stesso dicasi dei rosati anche se l’aglianico mi sembra un’uva adatta a dare stoffa a questa tipologia di vino.

Tra i rossi del materano ho trovato qualche primitivo  interessante, mentre gli uvaggi bordolesi non sembrano trovarsi molto a loro agio in zona.

E così arriviamo al vino  simbolo della regione, all’Aglianico del Vulture  che non mostra una linea univoca, ma alcune tendenze chiaramente in crescita. In primo luogo  in diversi casi si è capito che se si riesce a lavorare leggermente in “sottrazione” l’aglianico diventa più elastico e complesso senza perdere la notevole e classica potenza. Diversi vini del 2015 puntano su questo, come anche etichette del 2013. Ci sono ancora vini caricaturali per il legno e imperfezioni tecniche, ma sono in netta minoranza, quasi ridotti  zero. Non sono ridotti a zero invece quegli Aglianico del Vulture che in bocca hanno un peso tannico molto elevato ma per niente rustico e amaro. Sono vini che si piazzano in bocca e te la monopolizzano con una pienezza che sconfina subito nella  piacevolezza.

Quindi buone notizie soprattutto dal Vulture e soprattutto grazie a cantine che riescono a svecchiare un vino troppo spesso ancorato ad alcune riuscite interpretazioni del passato.

Anche se i risultati dei nostri assaggi verranno pubblicati più avanti, qualche citazione, magari dove la cantina ha espresso più di un vino di alto livello,  la voglio fare.

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In primo luogo L’aglianico del Vulture Stupor Mundi Riserva di Sara e Luca Carbone: un vino di una compattezza impressionante , dotato di tannicità imponente ma armonica, che unisce dolcezza e grazia ad una struttura da peso supermassimo. Da sottolineare come invece  lo Stupor Mundi 2014 sia di una freschezza, bevibilità  e profondità gustativa  che ti fa riflettere sulla  quella tanto bistrattata vendemmia. La bravura di un produttore è anche e soprattutto nell’interpretare quello che l’annata ti consegna e i Carbone lo sanno fare benissimo.

Molto compatto ma dinamico  L’Aglianico del Vulture Damaschito 2013 di Grifalco, cantina oramai stabilmente ai vertici della denominazione: modernamente concepito, con un naso di grande ampiezza e complessità , assolutamente in grado di dare belle soddisfazioni per i prossimi 20 anni. Ancor più elastico senza perdere di peso il loro Aglianico del Vulture 2015, da bere senza problemi ma anche da scordarsi in cantina.

L’aglianico del Vulture Physis della piccola  e giovanissima cantina Ripanero mi è sembrata un vino di grande carattere: interpreta il vitigno con un frutto imponente e marcato, una rotondità ed una dolcezza tannica  che lo esaltano e lo rendono comunque abbordabile da tanto pubblico poco avvezzo alle ruvidezze del vitigno. Più lineare e fresco invece il loro Aglianico del Vulture  Logos, dotato comunque di un nerbo  che depone a suo favore per il futuro.

Che dire in conclusione, che Basilicata Stories ha assolutamente senso e bisogna  anzi che si sviluppi nell’unica maniera possibile, cioè portando i giornalisti sul territorio.

Speriamo sia possibile già dall’anno prossimo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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