Alto Adige: da bruco a farfalla.3 min read

Prima di pubblicare i risultati delle nostre annuali degustazioni di bianchi e schiave altoatesine e di esprimere dei giudizi vitigno per vitigno, ci sembra giusto parlare in generale dell’ultima vendemmia e della situazione del “vigneto” Alto Adige. Troverete comunque molte altre informazioni sia nell’articolo che accompagnerà la pubblicazione degli assaggi sia nell’intervista con Thomas Augschoell (responsabile della promozione per i vini altoatesini) che pubblicheremo in contemporanea.
Per quanto riguarda l’annata 2008 non possiamo certo dire che sia stata la vendemmia del secolo. Le piogge del periodo vendemmiale non hanno permesso di portare in cantina il meglio del meglio e questo si è tradotto in vini dalla minor concentrazione sia aromatica che gustativa. Non è in discussione la grande correttezza e perfezione tecnica che contraddistingue da molti anni questi vini, ma la profondità e la complessità che può nascere solo dalla grande annata. In quasi 300 campioni non abbiamo trovato un solo vino con difetti (se vi sembra poco!!) ma in molti casi gli aromi e la struttura non erano certo quelli di annate molto più fortunate.
In definitiva vini sempre corretti, ben impostati, ben fatti con interessanti connotazioni varietali (pinot bianco su tutti) che sicuramente valgono il prezzo richiesto Proprio su questo argomento ci vogliamo soffermare.
Visitando cantine si sentono spesso oggi  frasi del genere: “I nostri vini sono di qualità e proprio per questo abbiamo dei prezzi che oggi vengono definiti troppo alti. Rispetto ad alcuni anni fa, quando i nostri prezzi erano considerati da tutti concorrenziali,  la situazione è molto cambiata”.
Credo non  ci siano dubbi: L’Alto Adige ed il suo vino stanno vivendo quel momento che potremmo definire di “cambio di pelle”. Da zona di vini buoni e piacevoli a prezzi bassi stanno diventando territorio importante con prodotti di valore, che richiedono investimenti e quindi prezzi adeguati.  Oramai i vini altoatesini non sono più quelli dal prezzo più basso ma, nella migliore delle ipotesi, quelli con il miglior rapporto qualità prezzo. Questo però permette ad altre zone, non necessariamente italiane, di “entrare dal basso” e di scalzargli quote di mercato.
Un problema che ha toccato nel tempo tante zone viticole. Mi viene in mente quando in Langa o in Toscana smisero di arrivare “i tedeschi”, che entravano in azienda e riempivano la bauliera dell’auto di vino. Con i prezzi più alti questa facile forma di commercio si ridimensionò di molto, ma non per questo  i vini toscani e piemontesi persero quote mercato o diventarono di qualità peggiore.
Per l’Alto Adige,  visto anche il momento economico molto  difficile, questo problema di crescita dovrà  essere affrontato con  particolare attenzione e decisione. La prima cosa da capire( e su questo credo proprio che ci siamo) è che non si può tornare indietro: la qualità media presentata in questi anni deve essere solo incrementata, di pari passo con il cambio di immagine a livello nazionale ed internazionale. C’è comunque bisogno di maggiore inventiva e coraggio nel proporre alcuni vini, in primis la schiava. Mi diceva un produttore che sta facendo una prova in alcuni supermercati tedeschi, dove la sua Schiava viene venduta tra i vini rosati e non tra i rossi. Questa, in tempi di resurrezione dei rosati,  potrebbe essere una scelta intelligente ed azzeccata. Sul fronte dei bianchi invece, continuare  a puntare su uve che possono essere prodotte  altrettanto bene e a prezzi inferiori in altre zone viticole (Chardonnay in primis, ma anche Pinot Grigio) rischia di essere una scelta alla lunga molto penalizzante.
Lo scopo di questo articolo non è comunque quello di dare facili ricette ma solo di evidenziare una situazione abbastanza chiara: è’ giunto il momento per il simpatico bruco Alto Adige di diventare una bella farfalla!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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