Se mai un giorno dovessi smettere di scrivere di vino mi piacerebbe essere ricordato per l’unica vera battaglia culturale vinta dopo almeno di due decenni in cui abbiamo battuto e ribattuto il chiodo. Quale? Le virtù del Fiano di Avellino sui tempi lunghi che lo mettono alla pari con qualsiasi altro vitigno a bacca bianca in Italia e all’estero. Ci sono voluti esattamente 17 anni per arrivare ad inserire la dicitura Riserva alla docg del 2003. E questo risultato, ottenuto nel 2020 è stato reso possibile da decine di degustazione ma soprattutto grazie a quei produttori che ci hanno creduto, che hanno reso possibile verificare l’incredibile forza trascinatrice di questo vino con il passare degli anni, capace di passare dalla funzione dissetante e gastronomica a quella emozionale. Tra questi c’è sicuramente Roberto Di Meo con il quale, lo racconto spesso, facendo una degustazione nella metà degli anni ’90, capii la potenzialità dei bianchi irpini e campani.

Il Fiano ha una differenza fondamentale rispetto a Greco, Falanghina e Coda di Volpe, non ha bisogno di essere pensato per vivere a lungo, scavalla i dieci, i venti anni con estrema facilità anche se lavorato alla buona. Il merito di Roberto di Meo è quello di aver avviato un progetto coerente con il quale è entrato ormai in tutte le carte che contano nei ristoranti. Il Greco Vittorio, Il Fiano Per Erminia, Il Colle dei Cerri sono davvero bianchi capaci di affrontare qualsiasi batteria.
Negli ultimi giorni mi è capitato di bere il Fiano di Avellino Alessandra, dedicato alla figlia, di due annate: la 2012 e la 2013. Tenete conto che adesso è in commercio la 2015 perché questa etichetta va in commercio dopo una decina di anni.
Tra le due annate, al di là delle differenze meteo, c’è un confine per due motivi: con la più recente il Fiano Alessandra cambia etichetta e al tempo stesso assorbe la dicitura Riserva. La vigna è piantata a Salza Irpina nei pressi dell’azienda, a circa 550 metri di altezza con una resa per ettaro di circa 50 quintali, meno della metà di quanto previsto dal disciplinare. Per completare le informazioni, vi diciamo che il suolo è argilloso calcareo e che, dopo una pressatura soffice, si procede con la macerazione sulle bucce, fermentazione a temperatura controllata, sosta in acciaio 8 anni, con un ulteriore affinamento in bottiglia di 12 mesi.

La 2012 un po’ più ampia, di corpo, la 2013 ancora freschissima, fine ed elegante. Beviamo questi due bianchi nel migliore dei modi possibili, a tavola con amici, su una buona cucina di mare in due occasioni diverse ma ravvicinate. Non sono un teorico dell’acciaio a tutti i costi, anzi penso che un buon legno dosato può rendere invincibili i grandi vini ma il punto è che questo binomio fiano e botte, ha bisogno di essere ulteriormente studiato e approfondito con molta cura e ci vorrà tempo prima di trovare la giusta quadra.
Ecco perché vi diciamo che questo Fiano non sorprende gli appassionati, perché parla un linguaggio corrente e fa affidamento solo ed esclusivamente sulla qualità dell’uva. Il risultato è, in entrambi i casi, di un vino dai sentori di fumé, frutta ancora croccante con rimando agrumato, note mentolate, al palato domina una freschezza assoluta nel 2013 mentre nel 2012 è importante e vibrante ma fa da spalla alle altre componenti lasciando anche un po’ di spazio al piacere del calore avvolgente dell’alcol.
Due grandi vini di una etichetta posizionata verso l’alto, sui 65 euro in uscita, ma ancora al di sotto di tanti francesi che costano di più e molto di più senza avere la stessa complessità.
Con questa svuota Roberto segna in alto l’asticella dei bianchi in Italia insieme ai grandi della categoria. Ma, ed è una opinione personale, siano solo all’inizio.