Verdicchio 2006, l’anno degli outsider4 min read

Se qui scrivessimo l’elenco delle aziende che nei giorni scorsi in degustazione si sono distinte per la bontà dei Verdicchio jesini del 2006, siamo sicuri che il 90% almeno dei nostri lettori rimarrebbe sbigottito, visto che in molti casi si tratta di autentici outsider.
Date uno sguardo alle degustazioni (che pubblicheremo tra qualche giorno. n.d.r.) dunque, e tornate qui. Non credo comunque che ne conoscerete molti e dunque sarà ancora più avvincente cercarli sugli scaffali delle enoteche (ma non vi possiamo garantire che tutti abbiano una rete commerciale di respiro nazionale).
Intendiamoci: anche quasi tutti i produttori “storici” e famosi hanno/stanno immettendo sul mercato dei 2006 quantomeno buoni, ma ci preme sottolineare quest’anno l’ottima performance di tante aziende che non stanno sulla cresta…delle guide.
Una buona riuscita generalizzata dunque, segno di una buona annata – anche se ci aspettavamo qualcosa di più da molte etichette top – e di una sensibilità e competenza tecnica che ormai fanno parte del bagaglio di tutti i produttori (non più di un paio su 120 i vini difficili da avvicinare, oramai vere e proprie mosche bianche).
Scendendo nel particolare, il Verdicchio jesino del 2006 si caratterizza per una profondità olfattiva piuttosto buona, con decisi profumi floreali di fiori gialli (e spesso un tocco di fieno), che aprono ad uno spettro varietale un po’ limitato (anice ok, mandorle un po’ meno), ma senza la succosissima freschezza tropical/vegetale dei 2004 (anno di riferimento per chi scrive).
Bene anche la profondità gustativa, ma i vini a centro bocca lasciano una lieve sensazione di “vuotezza” che “allenta” lo sviluppo, rendendo il vino spesso monocorde nel finale.
Vini che presumibilmente invecchieranno bene – e non è affatto una novità per la Denominazione – ma non benissimo, e che forse non gioveranno più di tanto della sosta in bottiglia.
In materia di stili nessuna novità (fortunatamente!), con quasi tutti i campioni che possono essere raggruppati nel canone “bianco fresco in acciaio”, con pochi vini giocati quest’anno sulla surmaturazione, pochissimi sulla muffa nobile (segno di una annata avida di miele e frutta esotica), e qualcuno – pochi a dire il vero – sul legno (gli amanti di quest’ultimo stile si concentrino sulla tipologia “Classico Riserva”).
Per concludere, è da segnalare la buona riuscita anche dei vini provenienti dai vigneti della zona non classica, ovvero la più settentrionale: un evento per la nostra esperienza niente affatto scontato.

Passiamo al fratello cupo e ombroso di Jesi, ovvero Matelica, dove siamo felici di informarvi di un evento felicemente raro: e cioè che i Verdicchio 2006 non necessitano di essere trattati come i Pauillac 1982, e nemmeno come i Barolo 1996…
…ovvero che si tratta di vini inaspettatamente aperti e già godibili, con una entrata di bocca che – se è eccessivo definire morbida – di sicuro non è ostica, ottima progressione gustativa e bell’allungo sapido finale, e soprattutto con una diversificazione di stili sempre più chiara e netta: da una parte i produttori che cercano freschezza e frutto (Belisario tranne la riserva, Collestefano), e dall’altra quelli – che personalissimamente preferiamo – che si sforzano di donare a questo grande vino complessità (Bisci, Mecella, Pagliano Tre, cui aggiungerei quest’anno il molto discontinuo Accattoli).
Solo un piccolo dubbio sulla reale capacità di tenuta e miglioramento per i 2006: ma visto che sono vini già aperti, è anche inutile attenderli.
All’assaggio mancavano sia esponenti del primo stile (Cavalieri) che del secondo (Fattoria la Monacesca e Gagliardi), ma l’impressione è che i troppo pochi appassionati di questa ottima Denominazione misconosciuta possano fare acquisti senza remore.
E anche di grande valore (visto che per questa annata non avranno bisogno di una cantina interrata in tufo per completare la maturazione delle bottiglie…).

 

Inseriamo nell’articolo di Francesco i link per andare alle degustazioni degli oltre 100 Verdicchio che abbiamo assaggiato in due giornate caldissime ma molto interessanti dal punto di vista degustativo. Meno male che l’Assivip ci ha messo a disposizione una bella sala climatizzata e la solita, ormai comprovata, organizzazione. A loro va il nostro grazie.

 

 

 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE