100 Anni di Paternoster, ovvero la storia del vino in Basilicata3 min read

Non capita tutti i giorni di festeggiare un’azienda con 100 anni di storia e se questo avviene in Basilicata, in particolare nel Vulture, diventa “evento”.

Paternoster è un nome che non ha bisogno di presentazioni: è stata per un secolo l’azienda che più di altre ha rappresentato il territorio e quindi l’Aglianico del Vulture, identificandosi con la Basilicata.

Oggi l’azienda è entrata a far parte del gruppo Tommasi, che intelligentemente ha mantenuto la storicità del marchio dando anche una continuità enologica affidandola al bravo Fabio Mecca.

Tommasi si presenta con tutta la sua carica imprenditoriale, forte di una esperienza consolidata e diffusa in buona parte del territorio nazionale. Del resto la presenza “esterna” in regione, non è una novità: altri (GIV, Feudi di San Gregorio) l’hanno preceduta.  

Fabio Mecca e Giancarlo Tommasi

Sono tra quelli che pensa che in un mercato globale, la capacità di penetrazione sui mercati, esteri in particolare,  non può essere affidata a piccole aziende che viaggiano in ordine sparso. Non nego che ci siano famose eccezioni, ma sono sempre legate a piccoli numeri e nel mercato estero contano ben poco, non in termini qualitativi beninteso, ma come forza di penetrazione e di affermazione. 

Da questo punto di vista, i Tommasi, che sono sempre un’azienda familiare,  ha le idee ben chiare e l’invito a partecipare all’evento, esteso ad altre significative aziende, mostra la volontà di fare gruppo.

Ogni regione ha sempre avuto delle aziende leader e forse in Basilicata una forte leadership è mancata, non certo per volontà, quanto per mancanze oggettive. La manifestazione perfettamente organizzata,  a me sembra (ma potrei sbagliare) una inconsapevole candidatura.

Le degustazioni, hanno mostrato quanto l’Aglianico del Vulture, nella versione Don Anselmo, dal punto di vista della tradizione, rappresentazione e racconto di un territorio possa rappresentare un asso nella manica.

L’altra verticale riguardante il Rotondo, ribattezzato Baroni Rotondo: è la faccia moderna dell’Aglianico che si vuole rilanciare e affermare.

La cantina di Paternoster

Nel ’98, grazie all’intuizione di Vito Paternoster e alla mano enologica di Leonardo Palumbo (che aveva firmato anche le prime dieci annate del Don Anselmo), fece il suo debutto il Rotondo e rappresentò una novità per il territorio: l’uso della barrique fu determinante e, primo in assoluto per la regione, vinse i tre bicchieri del Gambero Rosso.

All’epoca non ne fui entusiasta, anzi. A distanza di anni rivedo in parte il mio giudizio dando a Cesare quel che è di Cesare. Senz’altro l’uso della barrique al posto delle tradizionali botti grandi, nel tempo, ha prodotto i suoi benefici effetti, senza i quali, questo vale in generale, sperare nella longevità diventa quasi impossibile: la degustazione di uno splendido ’98 ha mostrato quanto la scelta di premiarlo allora fu lungimirante.

Oggi il Baroni Rotondo nella versione 2020, la prima dell’era Tommasi, abbandona la barrique a favore dei toneaux, allunga l’affinamento in bottiglia e si presenta con una carica tutta moderna, piacevole, destinato a un pubblico più vasto, che ne può apprezzare  la complessità, la potenza con tannini fitti e suadenti e la finezza. E’ la scommessa di sempre: avere vini bevibili e godibili appena messi in commercio, ma che possano durare nel tempo: una sorta di quadratura del cerchio.

Siamo alle prime edizioni di un vino che sicuramente subirà ulteriori messe a punto, grazie alla visione internazionale e strategica dell’azienda (leggi Giancarlo Tommasi) e alla continuità storica di Fabio Mecca.

Pasquale Porcelli

Non ho mai frequentato nessun corso che non fosse Corso Umberto all’ora del passeggio. Non me ne pento, la strada insegna tanto. Mia madre diceva che ero uno zingaro, sempre pronto a partire. Sono un girovago curioso a cui piace vivere con piacere, e tra i piaceri poteva mancare il vino? Degustatore seriale, come si dice adesso, ho prestato il mio palato a quasi tutte le guide in circolazione, per divertimento e per vanità. Come sono finito in Winesurf? Un errore, non mio ma di Macchi che mi ha voluto con sé dall’inizio di questa bellissima avventura che mi permette di partire ancora.


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