Emilio Placci, il custode dei legni addormentati11 min read

Conosco Emilio Placci sin da bambino, da quando frequentavamo le scuole elementari, poi negli anni l’ho perso di vista ma conservo ancora il ricordo di quella testa arruffata e del mocio che entrambi spalmavamo sulle maniche del grembiule nel vano tentativo di apparire bambinetti in ordine. Lo rincontrai quando iniziai ad interessarmi di vino, più o meno a metà degli anni ‘80. Scoprii così che Emilio faceva vino, aveva studiato e con profitto, come ebbi modo di capire assaggiando un vino per il quale aveva prestato la sua opera: il Borgo dei Guidi di Nespoli. Negli anni successivi ho assaggiato, seppur sporadicamente, i suoi vini ma non con la regolarità che gli era dovuta per il suo coraggio.

Emilio Placci

Poi, qualche giorno fa, ricevetti un suo invito alla presentazione della sua nuova collezione. Invito per il quale gli sono grato perché mi ha dato modo di ricordare come eravamo. Questa non è solo una storia di vini ma è anche quella di un progetto che nasce sulle idee di due uomini, Emilio Placci e Giorgio Melandri, legati all’Appennino e ancorati allo loro amicizia. Nel 2018, Emilio Placci  lascia la storica sede della sua azienda Il Pratello per trasferirsi a pochi passi di distanza, in una nuova casa. Ma la vecchia cantina, avvolta dal buio e dal silenzio, ha continuato a custodire 120 “legni” – barrique e tonneaux – che contengono I vini frutto di un lavoro iniziato nel 2006.

Questi vini raccontano la storia dei suoi primi 30 anni di attività, un periodo in cui ha dato vita a un’azienda che oggi è tra le più coraggiose della Romagna. Vini prodotti dal 2006 al 2017, mai più toccati, mai più assaggiati, ma mai dimenticati perché il frutto del lavoro di una vita per la maggior parte fatti con i sangiovese che le vecchie viti dell’alto appennino hanno faticato a produrre. E così, un giorno d’estate del 2022 Giorgio e Emilio, non so quanto per gioco o quanto per sfida, decidono di aprire quei vecchi legni sigillati dal tempo per assaggiarli uno ad uno. L’idea di restituire a quei vini  nuova vita prende forma rapidamente e vengono scelte 19 barrique per essere proposte alla vendita come “single barrel”. È appena nato il seme del futuro progetto “Il Pratello Collezione”. I vini scelti appaiono cosi convincenti che viene coinvolto Velier distribuzione, azienda nota non solo per la distribuzione di vini “Triple A” (Agricoltori, Artigiani, Artisti) ma anche perché di proprietà di Luca Gargano, salvatore della storica distilleria Caroni di Trinidad. La Collection Pratello è, a tutti gli effetti, una lettura di dettaglio che rende omaggio alla storia dei primi 30 anni di questa azienda ma anche una riflessione sul terroir, sui tempi lunghi della natura e sulle scelte che definiscono l’essenza di ogni bottiglia.

L’amico e collega giornalista Lorenzo Frassoldati ha definito i testi che accompagnano le 19 bottiglie della collezione completa, nella brochure di presentazione, la nuova deriva “intellettuale e poetica” di Giorgio. E in effetti ogni bottiglia della Collezione Il Pratello può essere vista come un racconto a sé, una raccolta di pensieri, di ricordi condivisi emersi nella cornice dei suggestivi e aspri paesaggi dell’appennino. Ma questi testi, così poetici e suggestivi nascondono le descrizioni dei vini in maniera del tutto inedita e originale. Parlano di vino in modo diverso, con l’atmosfera e il quotidiano in evidenza, ma senza dimenticare l’esperienza del vino stesso. Le magnifiche illustrazioni di Francesca Ballarini sono un’altra boccata di ossigeno, necessarie per completare la trama di questa storia in 19 capitoli. Ogni bottiglia un’illustrazione, ma nella brochure ne troviamo più d’una a testimoniare che ricordi ed emozioni quella singola bottiglia li ha moltiplicati. Ogni vino della collezione rievoca un ricordo raccontato da Giorgio il Poeta.

I 19 Vini della Collezione Il Pratello:

1.        Crepuscoli (Rosso 2017, Barrique, 260 bottiglie) Nei “freschi crepuscoli d’aprile”, per citare un verso di “Confessioni di un teppista” scritta dal poeta Sergej Esenin nel 1920, si sentono nitidamente profumi algidi e puri, il repertorio classico che somma, come a Bordeaux, i profumi di mare (qui antico) e quelli di bosco. È un momento chiave per capire l’espressione delle montagne che ospitano, e nascondono, le vigne di Modigliana.

2.        Ruggine (Sangiovese 2013, Barrique, 260 bottiglie). Era ottobre, ancora non avevamo vendemmiato. Mentre camminavo in vigna la mattina prestissimo scapparono nel bosco due caprioli, a grandi balzi. Li vidi poi immobili tra gli alberi, elegantissimi, e tutto era uno spettacolo di colori: ruggine, marrone, ocra, giallo. A pensarci erano già profumi.

3.        Attimo (Sangiovese 2013, Barrique, 260 bottiglie). Facemmo tardi, al ritorno si fece buio e camminammo in silenzio verso la casa di sasso di Rastignolo. Da due camini usciva fumo, sotto ai piedi era un crepitare di foglie secche. Erano odori di montagna, scuri e pieni. Mi fermai un attimo, poi qualcosa successe… da dove veniva quel profumo di agrumi?

4.        Immaginare (Sangiovese 2017, Tonneaux, 520 bottiglie). Immaginare porta lontano. C’è una strada bianca che parte dalla via Morana e scompare tra i boschi. Immagino che porti molto lontano, forse a oriente, o forse chissà. Di sicuro profuma di spezie e frutti mai sentiti, rossi. Forse anche blu.

5.        Mistero (Sangiovese 2017, Tonneaux, 520 bottiglie). Ho sentito di questa bacca straordinaria, il pepe di Sichuan, che mescola il piccante del pepe, gli agrumi e certe inspiegabili dolcezze. Lo sento nelle annate calde portato dal vento che esce dal bosco, lo sento, ma mai ne ho osservato una traccia. Lo risento nei vini ed è un mistero che continuo a indagare.

6.        Chissenefrega (Sangiovese 2013, Tonneaux, 520 bottiglie). È un giorno di vento, limpido e perfetto, luminoso e pieno di nuvole che corrono. Un cielo drammatico e glorioso. Ci sono fiori dappertutto, fossi pieni di viole e foglie secche che volano. Forse è la fine del mondo, o forse solo un giorno spensierato, ma in fondo chissenefrega.

7.        Burrasca (Rosso 2006, Barrique, 260 bottiglie). I cipressi la sera sono sempre sagome nere, immense e solenni. Stasera il cielo è appena più chiaro, blu e grigio. C’è un odore di rocce bagnate che arriva con il vento e una tensione forte, un’energia che attraversa l’aria. Forse sarà burrasca.

8.        Africa (Rosso 2006, Barrique, 260 bottiglie). Ogni volta che lascio Il Pratello, dopo una curva a sinistra che fiancheggia un campo di grano, vedo una coppia di upupe. È un momento di bellezza, meraviglia e ricordi. Poi a seguire un volo di strisce bianche e nere, che è ancora bellezza, eleganza. È Africa per un attimo, un perfetto viaggio per me.

9.        Improvvisamente (Rosso 2006, Tonneaux, 520 bottiglie). L’estate arriva senza avvisare, guardi nei fossi e ti chiedi come abbia fatto l’avena selvatica ad essere improvvisamente così alta. Guido su per la valle Ibola e fingo di essere altrove, un gioco dove i boschi diventano altro, le rive di arenaria scogliere, le luci che filtrano tra le foglie riflessi dell’acqua e improvvisamente il Mediterraneo è a due passi.

10.        Magia (Sangiovese 2015, Barrique, 260 bottiglie). Ritrovare in un bicchiere i profumi di un luogo, senza capire dove finisce l’uno e inizia l’altro, è un’emozione unica. Il vino è questa magia. Nell’Ibola dovete andarci, tra ginepri ed elicriso, in mezzo a boschi che soffiano terra e spezie.

11.        Nuvole (Sangiovese 2015, Barrique, 260 bottiglie). È lunedì, piove a dirotto. Piove da due giorni, senza sosta. Il viaggio verso Il Pratello è uno spettacolo di nuvole, la pioggia cala e poi smette. È un momento sospeso, le regole dei profumi, chissà se ci sono, sono stravolte. Tutto è pulito, nitido. Tutto è per un attimo autunno in purezza: melagrana, cachi, marroni, sorbole e boschi bagnati. Le giornate di pioggia non sono per tutti.

12.        Fuoco (Sangiovese 2015, Barrique, 260 bottiglie). Negli anni ’70 gli inverni, quelli dei ricordi, erano freddi e lunghi. E i ragazzi affrontavano le giornate con pesanti maglioni di lana, berretti di pelliccia, cappotti di lana spigata. Qualcuno con il loden, verde o blu. Nella memoria sono la quintessenza del classico, come i vini che sbuffano agrumi e bosco, toni marroni e vento freddo a folate. E odori di fuoco e cenere. A pensarci, un camino accesso c’era dappertutto.

13.        Silenzio (Rosso 2014, Barrique, 260 bottiglie). La via Morana è piena di curve, alcune accompagnano delle pareti a sud, altre costeggiano rive completamente a nord. Ginepri, cisto, elicriso da una parte, muschi e felci dall’altra. E cambiano anche gli odori, prima sud, agrumi compresi, poi nord. È bello camminarci in silenzio, sentire i fruscii e le fughe di animali che non si vedono mai e annusare piano il vento.

14.        Neri e blu (Rosso 2014, Barrique, 260 bottiglie). Ci sono dei vini che sembrano un paesaggio di notte, neri e blu che sembrano nascondere tutto. Con il tempo gli occhi si abituano e si vedono sempre più cose, sempre più precise. Poi ci sono i rumori e i versi degli uccelli, quelli arrivano e non si mai da dove. E ci sono dei vini così, bravi a nascondere. Eppure è tutto lì, ed è solo una questione di tempo.

15.        Dalla nebbia (Rosso 2014, Barrique, 260 bottiglie). Sbucò dalla nebbia improvvisamente, era un lagotto chiaro. Dopo qualche secondo sbucò anche un tartufaio. Si fermarono, non si aspettavano di trovare qualcuno nella vigna in quella mattina di novembre piena di freddo e pioggia sottile. Li ricordo così, fermi tra quelle foglie gialle, tra profumi di terra e menta selvatica. Un regalo dell’inverno.

16.        Le nove di sera (Rosso 2014, Barrique, 260 bottiglie). Sono quasi le nove di sera e c’è ancora luce, guido piano. Sulla strada c’è una pianta di rosa immensa, è una rampicante, una Guinée, una vecchia rosa degli anni ’30 inventata da un francese, Charles Mallerin, un ibrido di tea, le “tea scented rose” importate in Europa all’inizio dell’Ottocento dalla Cina. È alta, carica di fiori rosso scuro, bellissima. Ogni anno la guardo, è un simbolo. Di maggio, di noi, del Novecento, della nostra cultura che sa accogliere il nuovo e ripensarlo, farlo proprio. Non è solo una rosa, è il segno che ancora ci siamo.

17.        Faccia al cielo (Sangiovese 2017, Barrique, 260 bottiglie). Le rocce si rivelano ovunque e diventano compagne di viaggio. Sono discrete, dure, maestose. E vanno a pezzi pian piano, senza che noi ce ne accorgiamo, sfinite da vento e pioggia, sempre faccia al cielo. È la magia della montagna, forte e fragile, infinita. È Appennino a perdita d’occhio. E profumi che passano con il vento, di spezie e agrumi, muschi e felci secche, di ginepro ed elicriso.

18.        Pomeriggio (Sangiovese 2017, Barrique, 260 bottiglie). Nike, il mio vizla, si è accucciato sotto di me, fuori la neve continua a cadere trascinata da raffiche di vento gelido. Abbiamo aperto una bottiglia di Mantignano di vent’anni, seduti a fianco della stufa a legna. Lassù, tra boschi neri che imbiancavano pian piano e un cielo di luce irreale, abbiamo passato un pomeriggio indimenticabile.

19.        Terra (Sangiovese 2015, Barrique, 260 bottiglie). Il vino è terra, luogo, geografia. E uomini, generazioni, storia. Nel vino si incrociano storie di lavoro, tempi lunghi, visioni. Anni di attesa e poi tutto si rivela in una sola volta, aprire una bottiglia è un rito di condivisione che non ha paragoni. E quei profumi austeri di rose e spezie, elicriso e pioggia, diventano ricordo e racconto. E anche amicizia.

Non sarà facile vendere questi vini, il pubblico capace di apprezzarli non è così numeroso. Sono vini cui serve un approccio meditato, calmo e riflessivo e solo una distribuzione mirata, come quella di Velier, può fare la differenza. Oggi si ha fretta di tutto, di consumare velocemente, di bruciare le tappe sempre, comunque e dovunque. Ma sarebbe un vero peccato se questa storia “andasse perduta nel tempo, come lacrime nella pioggia”. 

Per questo vi segnalo dove potete reperirli:

Enoteca Il Battello Ebbro, Forlì

Enoteca Burioli, Longiano

Abeervinum, Rimini

Cantina Marittima, Cervia/Milano Marittima

La Baita, Faenza

La Cantina di Calderoni, Ravenna

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Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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