Degustazione Pinot Nero dell’Alto Adige: alla ricerca di un piacevole equilibrio2 min read

Ed eccoci a parlare dei “grossi calibri” in rosso dell’Alto Adige, in particolare del Pinot Nero a cui, tra qualche giorno, seguiranno i vini da uve e uvaggi bordolesi.

Lo dicevano al mai dimenticabile Franz Haas che il suo Pinot Nero “base” era, per noi, meglio del suo Pinot Nero “top” e lui si arrabbiava regolarmente. Ci verrebbe voglia di dire la stessa cosa a tanti produttori altoatesini che magari potrebbero anche arrabbiarsi ma se c’è un vino che in questa bellissima terra ha delle difficoltà ad adattarsi a cambi climatici, viticoli e soprattutto ad auspicabili cambi di mentalità, è il Pinot nero.

 Prendiamo un attimo in considerazione i due territori più famosi e vocati: a  Mazzon qualcuno non ha ancora capito di essere “troppo in basso” e quindi non attua o non vuole attuare cambi di impostazione  viticola, a Gleno siamo molti più alti ma con vigne esposte in modo diverso e soprattutto con impianti molto più giovani. Tra questi due territori in evoluzione o in rivoluzione  troviamo tanti (forse troppi) produttori altoatesini che credono molte cose si possano risolvere con un “sapiente” uso del legno.

Vigneti a Gleno

Se in qualche caso è  possibile in altri serve solo a rendere i vini molto pesanti, chiusi e, in qualche caso addirittura caricaturali.

Questo è il quadro che ci siamo trovati di fronte con i nostri assaggi e che, a dirla tutta, avevamo trovato anche nelle annate trascorse.

Che poi le zone vocate dell’Alto Adige rappresentino in molti casi il meglio per il Pinot Nero italiano è una certezza che riesce solo a farci pensare a come potrebbero essere tanti buoni Pinot Nero altoatesini se venissero “liberati” da quei sentori tostati, da quelle ridondanze al sapor di caffè e presentati con la semplice ma solare freschezza che molti hanno in sé.

Lo dimostrano i migliori vini dei nostri assaggi, giocati sulle eleganti aromaticità classiche del vitigno, sulla riconoscibilità e soprattutto su una piacevolezza di beva che incarna la quintessenza del pinot nero che non vuole giocoforza “miracol mostrare”.

Quasi mai, in zone che possiamo comunque definire fresche, un grosso vino è un grande vino e questo, adattato ad un vitigno elegante per natura come il pinot nero, dovrebbe far capire che tante riserve, dotate di concentrazione, legno e tannini, non traducono nel bicchiere il concetto di Pinot Nero ma solo di un vino che gli assomiglia ben poco.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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