Chiedendo ai produttori toscani di pronunciarsi sul problema dei danni ai vigneti da parte di cinghiali, caprioli, daini e compagnia, (vedi qui) non credevamo di toccare un problema così sentito. Invece alle molte mail ricevute si sono aggiunte anche telefonate e addirittura alcuni produttori si sono scomodati a venire fino da noi in redazione.
Ripeto, che il problema fosse grave lo sapevamo ma leggendo o ascoltando le storie la situazione ci è sembrata molto peggio e molto più ingarbugliata del previsto.
Cerchiamo di procedere con metodo. Prima di tutto abbiamo avuto testimonianze da tutto il territorio del Chianti Classico, dalla zona del Chianti fiorentino, da Montalcino, da Montepulciano, dalla Maremma e da san Gimignano.
Le situazioni peggiori sono sicuramente quelle del Chianti Classico: a Lamole vigne con perdite del 100% del prodotto, idem in diversi vigneti nuovi nella zona di Castellina in Chianti 100%, perdite generalizzate dal 10% al 50% in altre zone come il Comune di Greve e di Gaiole in Chianti.
Anche a Montalcino ci sono stati danni che
hanno rasentato il 100% in vigneti nuovi e comunque danni generalizzati come minimo del 10%.
A Montepulciano danni dal 10% al 20% mentre dalle testimonianze avute pare che la Maremma e San Gimignano siano zone meno toccate dal fenomeno.
Ma di quale fenomeno stiamo parlando? In parte di danni dovuti ai cinghiali ma soprattutto di quelli fatti da caprioli e daini (cervi in minima parte) che mangiano i giovani germogli delle viti, l’uva quando è matura ed in molti casi anche le giovani viti appena piantate.
Questi danni non colpiscono gli agricoltori da ieri, qualcuno ci ha parlato di almeno 20 anni!
Ma i produttori cosa fanno? Aspettano tranquilli senza fare niente? Assolutamente no ma per parlare di come si corre ai ripari bisogna allargare il discorso ad altri soggetti: da una parte i cacciatori e dall’altra la burocrazia nelle varie declinazioni “comunale, provinciale, regionale”.
Il metodo più semplice per salvare i propri vigneti, almeno dai cinghiali, sono le reti elettrificate. Molte aziende le hanno acquistate, chiedendo spesso il contributo agli enti preposti ma ricevendolo solo in alcuni casi. Però la rete elettrificata, che oltre ad avere costi di acquisto ha anche quelli di montaggio e di smontaggio, non serve assolutamente a niente contro caprioli e daini che riescono addirittura a saltare le recinzioni alte due metri che molte aziende sono state costrette (con costi ancora più alti) a montare. Queste recinzioni però devono per legge avere dei varchi, che permettano, mettiamo ai cacciatori, di poter passare. Molto spesso però o i cacciatori o qualche operaio sbadato si scorda la porta aperta e così i caprioli possono entrare e banchettare.
Ma i cacciatori non dovrebbero essere quelli che limitano il proliferare di questa popolazione di ungulati? In teoria si, però non tutti (anzi sono molto pochi) i cacciatori hanno la licenza per poter cacciare caprioli e daini e soprattutto la caccia di questi animali e fortemente regolamentata e contingentata.
Inoltre molto probabilmente sono stati fatti male i conti: i caprioli (che hanno bisogno di pochissime centinaia di metri quadrati di bosco per vivere) si sono riprodotti molto più velocemente del previsto e oggi, solo nei comuni di Castellina e Radda in chianti si stima ce ne siano più di 6000.
In più è uso consolidato da parte dei cacciatori “appastare” durante l’inverno gli animali a cui daranno la caccia l’autunno successivo. Questa “tradizione” unita quasi sempre alla mancanza di un vero competitore (leggi lupo, che però in alcune zone sta ricomparendo) porta la popolazione dei caprioli a moltiplicarsi a livelli impensati. Daini e cervi hanno invece bisogno di molto più bosco per poter vivere e quindi il loro sviluppo è più controllato e controllabile.
Per i cinghiali invece, a causa anche di immissione di altre razze diverse dal maremmano (piccolo e poco prolifico), agli incroci con i normali maiali e alle “appastature” siamo oramai alle continue cacce di selezione che, accanto alle normali cacciate, riescono a malapena a mantenere il numero entro livelli altissimi ma mediamente accettabili.
Un problema correlato non da poco, segnalato da diversi produttori, è l’aumento nei boschi e nei campi di alcuni parassiti degli ungulati, in primo luogo le zecche.
Ma facciamo un esempio pratico: il produttore X che trova la sua vigna danneggiata cosa può fare? In primo luogo telefonare agli uffici competenti per segnalare la cosa. Se è fortunatissimo i cacciatori autorizzati a cui è stata affidata quella zona organizzeranno una caccia di selezione in tempi piuttosto brevi. Normalmente invece i tempi sono piuttosto lunghi (si parla anche di mesi) e comunque secondo le regole di cui si parlava prima i cacciatori potranno abbattere pochissimi animali, anche se in zona ve ne sono il triplo o il quadruplo.
Il produttore potrà comunque montare (praticamente a proprie spese perché i contributi sono sempre più una pia illusione) delle recinzioni, magari alte. Ma, a parte i costi (per un solo ettaro si parla di almeno 5-6000€) se tutti facessero così il Chianti Classico o Montalcino avrebbero più recinti che alberi e certamente questo non sarebbe un bel viatico pubblicitario per il territorio. Il nostro produttore può naturalmente chiedere sovvenzioni e rimborsi ma oggi, con la situazione economica attuale, i fondi sono quasi inesistenti. Può allora cercare di fare leva sui vari enti locali, provinciali e regionali ma tutti i produttori sono concordi nel sottolineare l’immobilismo dei politici, spesso più portati a sostenere i cacciatori che gli agricoltori.
Alla fine dei salmi il quadro è veramente triste: tutti gli intervistati sono concordi nel ritenere il problema di difficilissima soluzione, specie per i caprioli. Infatti in tutto questo si innesca il “fattore bambi” che crea un blocco mentale nell’opinione pubblica, impedendogli di credere che questi animali, carini e bellini, siano una piaga quasi peggiore delle cavallette. Il rispetto degli animali è una cosa giustissima, ma questo non può passare sopra al non rispetto per il lavoro di moltissime persone.
A proposito, durante un recente viaggio in Langa ho chiesto dei caprioli ed ho scoperto che anche là, dove di bosco ce n’è veramente poco, il problema inizia a sentirsi. Se si sviluppano e fanno danni in Langa dove i boschi sono un ricordo, figuriamoci cosa possono fare nei grandi boschi toscani, confinanti spesso con tanti, tanti, tanti, vigneti.