Vendite all’estero azzerate? Non è vero! Parola di Vinitaly e Nomisma3 min read

Cari produttori di vino italiani che per il coronavirus  avete visto praticamente bloccate le vostre vendite in tutti i paesi del mondo, state tranquilli: non è vero!

Infatti un articolo de IL Sole 24 Ore che mostra dati resi noti dall’Osservatorio Vinitaly-Nomisma, presenta un quadro, anche se parziale,  stranamente positivo. Secondo questi dati si parla infatti di un +5.1% nei mercati extra UE nel primo quadrimestre di quest’anno. Un dato, quello dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma messo a punto grazie a informazioni doganali dei diversi Paesi e che coprono circa il 50% del export di vino italiano

Leggendo ancora si vede che i dati importanti vengono soprattutto dalle vendita negli Usa, dove nel primo bimestre l’export di vino era volato a +40% per paura dei dazi di Trump. Questo trend, ci dicono nell’articolo,  ha poi tenuto anche nei mesi più duri dell’emergenza Covid-19 e non solo negli Stati Uniti, visto che in Canada , nei 4 mesi, si è avuto un + 7.1. Pare che una parte del merito vada ad una maggiore presenza nelle GDO americane.

Fino a qui i dati di Vinitaly e Nomisma che io, da perfetto ignorante di statistica e di dati doganali non mi sogno nemmeno di discutere. Poi però mi vengono in mente le decine di interviste fatte a presidenti di consorzi, dalle cui bocche sono uscite parole molto diverse e mi viene da domandare: “Allora mi hanno preso in giro? Piangevano col topo in bocca? Volevano muovere a compassione l’opinione pubblica per ottenere stanziamenti futuri e altri vantaggi?

E anche i moltissimi  produttori amici con cui ho parlato mentivano mentre facevano partire nottetempo camion di vino per l’estero?

Che dire… mi sento un po’ come l’asino di Buridano e non so da quale parte girarmi per attingere a un minimo di certezze, anche se il grido di dolore di centinaia di produttori che ogni giorno sale dai social e dai giornali e dal mondo  in cui vivo mi sembra, purtroppo, una certezza.

Poi mi viene in mente quella vecchia e scherzosa definizione di statistica, che definisce chi ha la testa nel forno e i piedi nel frigo una persona con una temperatura media ideale e forse riesco a capire qualcosa di più.

In effetti, specie per vini importanti (Brunello, Barolo, etc) i primi due mesi del 2020 sono stati estremamente positivi, con vendite cresciute esponenzialmente. Magari lo stesso è stato anche per altre tipologie e denominazioni e forse alcuni ordini importanti già organizzati e magari pagati da tempo sono riusciti a partire anche nei mesi del lockdown.

Le dogane registrano questi dati ma nessun studio ci dice quanto di questo vino sia stato venduto. Diciamo che questi numeri ci parlano di “uno spostamento di merce da un magazzino italiano a uno estero” speriamo pagato al produttore, ma non certamente di un consumo di quel vino.

Per questo mi sento di essere in disaccordo con la pubblicazione di dati come questi, perché possono servire solo ad acutizzare il dolore per le ferite commerciali che il Covid-19 ha indubbiamente inferto all’economia mondiale e al mondo del vino italiano in particolare.

Penso a quanti produttori non stanno imbottigliando perché non hanno sbocchi di mercati, a quelli che ancora devono farsi pagare merce venduta mesi e mesi fa a chi si ritrova il magazzino pieno e il telefono silenzioso.

Insomma,  la testa nel forno e i piedi nel frigo non sono certo uno dei modi migliori di vivere, anche se per la statistica può andare.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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