Tre giorni di assaggi presso il rinnovato Hotel Rondò a Bari, con circa 200 campioni, ci hanno permesso anche quest’anno di farci un idea piuttosto chiara della “Puglia in Rosso”. Gli assaggi erano incentrati sui tre vitigni cardine della regione, Primitivo, Negroamaro e Nero di Troia. Eccovi quindi le sensazioni della squadra pugliese di Winesurf, con Pasquale Porcelli che vi parla di Primitivo. Alla base dell’articolo troverete i link per andare a leggere i risultati delle degustazioni. Nei giornate baresi, tra le varie certezze enoiche ne ho avuta anche una gastronomica: il ristorante Le Giare, diretto dal sempre più genialmente folle Massimo Lanini, è oramai un approdo sicuro per chi vuole mangiare piatti che uniscono creatività a sostanza e bere ottimi vini non solo pugliesi, il tutto con prezzi assolutamente calibrati.
Dopo aver degustato una settantina di Primitivo, qualcuno forse stenterà a crederci, ma il quadro si è fatto più chiaro. Così a bocce ferme emergono impressioni che potrebbero essere approfondite in seguito. L’anno scorso titolavamo “Primitivo: un rosso alla riscossa” e quest’anno? Come definire la situazione di quest’anno?
Andiamo per ordine e grado e iniziamo dal Primitivo di Manduria che quest’anno, tanto per non farsi mancare nulla dopo l’attribuzione della DOCG al dolce naturale, ha modificato il suo disciplinare portando la percentuale di primitivo da 100 a 85 per cento. Per stare al passo con tempi dicono. Di certo di Primitivo di Manduria se ne produce tanto e di tutti gli stili, frutto della versatilità del vitigno. L’impressione comunque è che se si eccettua l’acuto di qualche azienda, che tra l’altro non ha voluto concedersi alle nostre degustazioni, il panorama sembra da qualche anno un po’ appiattito. Una produzione media accettabilissima, ma non a grandi livelli.
L’impressione è che non si voglia osare, che ci si accontenti di produrre vini corretti, senza spingersi oltre nella ricerca di una identità territoriale più aderente.
Una situazione sotto certi aspetti simile a quella del Primitivo di Manduria è quello del Primitivo salentino giocato con le IGT. Queste sono sempre più numerose, andando a rappresentare complessivamente il 27 % della produzione. Se non si può chiedere un’ aderenza territoriale che per definizione non hanno, forse un uso più meditato dei vitigni di sostegno e del rovere renderebbe questi vini meno omologati.
Situazione diversa quella del primitivo di Gioia che conferma il suo stato di grazia, anche se le ultime annate non hanno permesso a tutti di esprimersi al meglio. Territorio più piccolo, poco più di 200 ettari quelli iscritti alla DOC, che permette una produzione, se non di nicchia, qualcosa che le assomiglia molto.
Il carattere completamente diverso di questo Primitivo, con accenni floreali più evidenti rispetto al frutto succulento di quello di Manduria, porta ad interpretazioni molto interessanti. La scena è dominata da poche aziende in continua crescita evolutiva ed alla ricerca di una identità e di uno stile personale che, visti i risultati di questi ultimi anni, alcuni hanno già inquadrato ed altri non stenteranno a trovare.