Soave 2012: bene, ma la Nuova Zelanda…..4 min read

Prima di parlare di annate, punteggi e compagnia cantante voglio spiegare la procedura degli assaggi che quest’anno abbiamo usato per il Soave. Sfruttando una manifestazione organizzata dal consorzio il 25 Maggio (vedi) sono riuscito a degustare in maniera bendata e con tutta la calma del caso quasi ottanta Soave (tra “base”, classico e superiore) ed a farmi una prima idea della vendemmia. Poi il primo luglio mi sono presentato al Consorzio per i nostri annuali assaggi, dove naturalmente ho trovato (regolarmente anonimizzati) molti dei vini degustati appena un mese prima.

Morale della favola; praticamente tutti i vini assaggiati a maggio, a luglio erano leggermente migliorati sia al naso che in bocca. Al naso erano più aperti, la solforosa si era fusa meglio e le note aromatiche erano maggiormente marcate; in bocca erano più equilibrati e piacevoli.

Ora voi potreste dire che ho fatto la scoperta dell’America e indubbiamente che per un “bianco giovane” appena imbottigliato un mese in più voglia dire molto è una cosa che sanno anche i bambini, però….

Però ci sono diversi però. Non tutti i vini erano del 2012 e non tutti erano appena imbottigliati, il miglioramento è avvenuto sia per i Soave più commerciali che per i Soave Classico o Superiore con uno o addirittura due anni di maturazione in bottiglia. Un miglioramento così generalizzato non può che porre alcuni quesiti.

 

  • il Soave, al pari di diversi altri bianchi italiani,  è un vino da bersi giovane o no?
  • Aldilà delle divisioni da disciplinare (Soave, Soave Classico, Soave Superiore etc) come può il consumatore capire quali siano quelli da tenere in cantina se non seguendo i consigli di gente come noi che però non vengono riportati in etichetta o nel disciplinare?
  • Anche se un bel numero di Soave avranno vita breve non sarebbe meglio mettere nel disciplinare una regolamentazioni precisa sui mesi che deve passare obbligatoriamente in bottiglia prima di essere messo in commercio?

Se questo bianco italiano si è evoluto e nel tempo sta cambiando veste credo il consorzio di tutela debba prenderne atto, adeguando il disciplinare anche per tutelare il consumatore, che per diversi mesi si beve una bella dose di solforosa ed una brutta dose di Soave. Per quanto mi riguarda proporrei la messa in commercio almeno sei mesi dopo l’imbottigliamento, ma capisco che il mercato ha le sue regole e quindi scendo a quattro mesi e non se ne parli più.

Quello che dico per il Soave potrei dirlo per molti altri bianchi italiani e non crediate che una volta raggiunti i mesi estivi si sia esenti da dosi di solforosa che chiudono il vino e aprono le nostre povere narici, perché praticamente nessun produttore imbottiglia in una volta sola. Quindi in settembre come in maggio potremo trovare in commercio un bianco imbottigliato da 15 giorni, con tanti saluti alla perfetta espressione varietale del vino.

A proposito di espressione varietale (e qui arrivo a parlare del nostro assaggio) ma è proprio obbligatorio che il Soave si trasformi in un Soavignon neozelandese? Mai come quest’anno la tendenze “tioleggiante” (vedi) ha preso possesso dell’area del Soave, anche in cantine dove non te l’aspetteresti mai. Capisco che la moda è moda, ma perchè si spendono tanti soldi consortili per cercare di far capire le differenze tra suoli vulcanici se poi le differenze principali si devono a pratiche di cantina?

Comunque l’annata 2012 è uscita bene dagli assaggi e il buon risultato non è dovuto solo a pratiche di cantina ma a vigneti che, in qualche maniera, hanno tenuto botta al caldo dello scorso anno. Magari in cantina si può aiutare con una vinificazione ad hoc ma la bella media stelle dell’annata è figlia anche di metodi di coltivazione di ottimo livello. Ancora di più per i bianchi del 2011 usciti adesso, dove l’essere figli di un determinato vigneto è caratteristica praticamente irrinunciabile.

In definitiva: il Soave supera la vendemmia 2012 (e la 2011) con un bel voto medio, segno che il vino sta crescendo qualitativamente anche in zone dove la collina si vede in lontananza. Però molto più lontana è la Nuova Zelanda………

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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