Soave 2006: continua la crescita….. nonostante la DOCG!3 min read

Una volta dissi per scherzo (ma neanche tanto……) ad Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio Soave, che i giornalisti dovrebbero bendarli all’uscita dell’autostrada e sbendarli nel mezzo ai vigneti di Garganega della zona classica. L’incredibile differenza tra la piana industrializzata e quel mare di vigneto dove non si vede casa creata, varrebbe mille volte di più di qualsiasi discorso. Con il vino Soave forse è successa la stessa cosa: ti aspetti un prodotto autostradal-industrializzato e ti trovi invece di fronte ad un bel figlio di quel mare di vigneto, dove ogni onda/collina ha un nome (Foscarino, Calvarino, Carbonare, Castelcerino) ed un preciso carattere. É proprio il carattere quello che sorprende nel Soave 2006: lo si riconosce anche nei prodotti base, quelli più “autostradali” per poi mantenersi e raffinarsi nei vini della zona classica. L’anno 2006 conferma quindi quello che di buono avevamo scritto per il 2005: notevole innalzamento qualitativo generalizzato ma non a scapito della riconoscibilità della Garganega che , assieme al piccolo ma decisivo apporto del Trebbiano di Soave (per me, posso sbagliarmi, ma più che Trebbiano è un incrocio tra ex-Tocai friulano e Verdicchio) è il vitigno faro della denominazione. Il Soave Classico 2006 è un vino quasi sempre ben fatto (la media stelle si aggira intorno al 2.5) con pochissimi vini difettati (ne abbiamo trovato solo uno) e molti con almeno tre stelle ( ben 20, pari al 36% dei vini assaggiati). Ben quattro hanno ottenuto quattro stelle e pur mancando l’exploit delle “five stars” ci sembra comunque un risultato molto, ma molto buono.

Ma non sono tutte rose e fiori, qualche problemino c’è pure in zona e tocca, neanche tanto per assurdo, il top della gamma: il Soave Superiore (classico o no) DOCG. Sin dalle prime uscite (annata 2003 se non sbaglio) ci è sembrato un corpo estraneo alla denominazione, un qualcosa di non ben compreso che in diversi casi rischia di divenire un doppione più caro del Soave Classico DOC. Infatti già i migliori Soave hanno corpo e potenza notevoli, però quasi sempre affiancati da eleganza e finezza. Una resa per ettaro molto più bassa, affiancata da alcol e estratto secco superiore e soprattutto da una forma di allevamento diversa e ancora poco metabolizzata in loco (guyot) ha portato purtroppo a vini forse più concentrati ma poco eleganti, poco “soavi”, di nome e di fatto. Pur ammirando i buoni e saldi principi da cui si era partiti, oggi come oggi i superiori DOCG  ricordano molto il pugno tirato al cielo. L’unico merito di questi vini è quello di aver alzato il tiro, anche e soprattutto giornalistico, su una tipologia di Soave più moderna e, almeno sulla carta, migliore. Ripeto: motivi per chiedere la DOCG ve ne erano. Quando si iniziò a parlarne la situazione qualitativa del Soave era molto diversa: c’era bisogno di staccarsi nettamente da un mare di bianco anonimo venduto a prezzi da realizzo. Oggi, di fronte a Soave mediamente di buon carattere e riconoscibilità, davanti ad una cura in vigna lontana anni luce da quella di dieci anni fa, la DOCG rischia di diventare un lusso, per di più poco sentita dai produttori. Pochi infatti sono stati i campioni presentati all’assaggio (7) e su quasi tutti, pur trovandoli ben fatti,  la domanda è stata “Ma c’era proprio il bisogno di farlo?”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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