Schiave dell’Alto Adige 2010: ancora una bella annata3 min read

Scherzando, ma neanche tanto , sosteniamo da tempo che la schiava dovrebbe essere promossa facendola passare per un rosé.  I nostri assaggi di quest’anno, complice un frigorifero mezzo impallato, ci hanno dimostrato quanto eravamo in errore.

In pratica la temperatura di degustazione dei vini non è mai andata sotto ai 18-20 gradi: all’inizio eravamo spaesati e la paura di assaggiare in maniera non consona un vino per noi così importante ci aveva quasi convinto a rinviare il tutto. Poi abbiamo stappato i primi vini e ci siamo resi conto di avere di fronte dei rossi “in carne ed ossa” che in più reggono benissimo temperature “ambiente”.

Abbiamo potuto così apprezzare una serie di gamme aromatiche (molta frutta rossa e nera, tanti fiori) che spesso le temperature di servizio da rosé non ci permettevano di scoprire. Ci siamo inoltre convinti che la mancanza di tannino della schiava non è traducibile in mancanza di corpo ma semplicemente in un surplus eleganza, equilibrio e giusta freschezza. Non siamo certamente di fronte ad un barolo ma la schiava, magari aiutata da un 5-10% di Lagrein (come nel Santa Maddalena) è un vino che può reggere tranquillamente secondi molto importanti: provare per credere.

Veniamo ai nostri assaggi. In campo la vendemmia 2010. Annata non  certo facile  si è espressa con vini leggermente più scomposti e meno pronti, sia al naso che in bocca. Speriamo che questo ritardo porti ad una maggiore longevità, da sempre il Tallone d’Achille del vino.  Ma questa ritrosia, questa lieve tannicità ancora da domare,  non ha certo penalizzato i vini, dandogli un nerbo ed una concretezza maggiore.

Da questo punto di vista assaggiarli ad una temperatura più alta è servito anche a smussare qualche spigolo. Insomma, senza volerlo abbiamo quasi ottenuto la quadratura del cerchio e soprattutto abbiamo scoperto un nuovo modo per godere di un buon bicchiere di schiava.

Per quanto riguarda le denominazioni: sempre molto bene i Santa Maddalena e le Schiave “generiche”, discrete ma non ai livelli di altri i Lago di Caldaro. Indubbiamente una stagione fredda e qualche pioggia hanno portato via corpo e struttura ad un vino che normalmente ne ha meno dei cugini, rendendolo così  meno intenso e piacevole.

Come vedrete comunque la media stelle è alta (2.62), più alta, anche se di poco Di quella dello scorso anno (2.61). Abbiamo un vino da 4.5 stelle (non capita spesso..) uno da 4 e ben otto da 3.5. Questo vuol dire che quasi il 20% dei vini assaggiati è di altissimo livello. Se poi ci aggiungiamo le sedici 3 stelle si arriva al dato che oltre il 49% dei vini (46% lo scorso anno) si colloca nella parte alta della degustazione. Sarebbe l’ora (ma questo è un discorso vecchio…) che i produttori lo facessero sapere in maniera seria e decisa anche sotto Bolzano.

Per convincerli a fare finalmente il “grande passo”  voglio raccontare una storiella che si ripete sempre più spesso. Non da adesso, quando ho amici a cena molti mi chiedono di bere schiava. Da qualche tempo però qualcuno,proprio tra i più appassionati di questo vitigno che ha scoperto solo in casa mia,  quasi mi implora di fare l’opposto e  di non mettere schiave in tavola. Questo  perché il rischio di bersene una bottiglia ( e dovendo dopo guidare qualche problemino ci sarebbe) è quasi una certezza.

La frase è sempre la stessa “Va giù troppo bene e si abbina con tutto. Quasi impossibile resistere. Toglila di tavola. ”
Penso che queste parole, più di tante che potremmo dire noi esperti, siano le più adatte per sperare di vedere molte più schiave dalle nostre parti.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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