Prosecco DOCG 2014: ritorno dal Paese delle Meraviglie6 min read

Inoltrandomi a fine luglio tra le colline del Prosecco DOCG, accompagnato da temperature superiori ai 35°, non ho visto la Madonna ma mi sono venuti in mente due libri particolari: “Alice nel Paese delle meraviglie” e “Il Mondo alla Rovescia”.

 

Infatti le bellissime colline attorno Valdobbiadene ti fanno sentire in una specie di paese delle meraviglie: meravigliosi i vigneti e il panorama e incredibili i dati produttivi con più di 70 milioni di bottiglie, in continua crescita.

 

Questo paese delle meraviglie però viene percepito in realtà esattamente alla rovescia, cioè come un luogo dove la viticoltura è qualcosa di massivo e  dove i vini sono frutto esclusivo di un’industrializzazione del prodotto vino. Invece questa DOCG ha territori dove la lavorazione del vigneto è qualcosa di prossimo alla viticoltura eroica; ma molti pensano, facendo un tutt’uno con il gigantesco mondo del Prosecco DOC (che  si estende oramai in mezzo Veneto e mezzo Friuli, sforna più di 250 milioni di bottiglie e predilige una viticoltura meccanizzata e di pianura) che il Prosecco DOCG di Conegliano Valdobbiadene sia un “frizzante” semplice e dal basso costo.

Niente di più sbagliato, anche se nel mondo del Prosecco DOCG convivono diverse anime e proprio questa convivenza è il principale problema da affrontare.

 

Mentre cercavamo di comprenderlo, girando tra cantine e conoscendo molti produttori, ci siamo trovati ad “affrontare” quasi 300 Prosecco DOCG, con quattro lunghe mattinate di assaggio al Consorzio del Conegliano Valdobbiadene, che ringraziamo.

 

Di scena la vendemmia 2014, che anche qui non ha certo permesso la produzione di vini memorabili. Lo potrete vedere scorrendo i nostri assaggi, dove ben pochi prodotti hanno ottenuto altissimi punteggi, ma molti hanno mostrato un livello qualitativo medio alto e comunque sullo stesso livello di tante altre denominazioni più blasonate di ogni parte d’Italia. Pure le differenze interne tra le varie tipologie (Brut, Extra dry, Dry e Cartizze) non sono assolutamente marcate anche se ci sembra di percepire che i Brut siano destinati in prospettiva alle produzioni qualitativamente di più alto profilo.

 

 

Ma torniamo al nostro tentativo di capire questo “Paese delle meraviglie”. Come potrete vedere scorrendo quanto scritto lo scorso anno (clicca qui ) il sistema Prosecco DOCG nasce da una virtuosa unione tra mondo agricolo e commercio industrializzato.

 

Questo matrimonio ha portato alla produzione e immediata commercializzazione di un vino dalle profonde radici agricole ma con connotati perfetti per il mondo moderno.

 

Ma niente rimane uguale a se stesso e quindi anche il mondo del Prosecco DOCG sta facendo dei passi per adeguarsi al continuo mutamento dei mercati (e soprattutto per cercare di distaccarsi il più possibile dall’ingombrante “cuginone” DOC). Non è detto però che questi passi siano, oltre che giusti e adeguati,  compresi e condivisi da tutti, produttori e consumatori.

 

Per esempio il concetto di “Rive”. Potremmo spiegarlo rifacendoci al “cru” francese e in realtà lo ricorda: vigneti particolarmente vocati in cui la produzione è tenuta più bassa  e quindi producono uve di qualità migliore. Detto così non fa una grinza, peccato che la solita mania italica di accontentare tutti abbia portato alla creazione di Rive in ogni parte della denominazione, svilendo così in pratica le premesse. Inoltre una produzione per ettaro che passa da 135 a 130 quintali  non giustifica certamente un conseguente miglioramento qualitativo.

 

Ma il concetto di Rive è per noi comunque positivo, perché indica se non altro la tendenza a voler puntare a produzioni maggiormente qualitative. Qui però sta quello che potrebbe essere definito un “trabocchetto insidioso” per chi ha impostato da sempre la produzione in un certo modo.

 

Il prosecco DOCG è un vino che, per ammissione stessa dei produttori, deve essere consumato giovane e per giovane si intende la più recente presa di spuma (di solito ne vengono fatte una decina all’anno): stiamo parlando quindi di vini nati (e bevuti) in pochi mesi.

Le varie Rive o comunque quei Prosecco DOCG con caratteristiche di corpo e struttura diverse e superiori che molte cantine stanno producendo, proprio per le loro caratteristiche intrinseche hanno invece bisogno di maturazioni più lunghe e quando vengono venduti e assaggiati giovanissimi, non solo non riescono ad esprimere le loro peculiarità, ma sembrano inferiori (chiusi al naso, scomposti e scorbutici al palato) ai prodotti meno blasonati della stessa cantina.

 

In altre parole: se è giusto pensare a prodotti di alto livello questi devono essere compresi,  trattati e presentati come tali, con tempi di lavorazione e maturazione che gli permettano di esprimersi al meglio. Spesso invece ti vengono proposti, (anche in degustazione bendata) sboccati da pochi giorni e purtroppo non possono essere apprezzati nella giusta maniera.

 

Per dargli una adeguata collocazione, anche commerciale, il consorzio potrebbe mettere mano al concetto di Millesimo e Millesimato, che nel Prosecco crea incredibili confusioni. Infatti riportare il millesimo sulle bottiglie non è obbligatorio ma possibile e quindi ci troviamo di fronte a vini “millesimati” solo sulla carta, senza avere per questo  una qualità ed un valore più alti. Oggi trovare o non trovare il millesimo su una bottiglia di DOCG non cambia assolutamente le carte in tavola e quindi, o tutti mettono l’anno di produzione o il riportarlo in etichetta dovrebbe essere circoscritto a produzioni particolari.

 

Altro punto importante per il futuro del Prosecco DOCG è il volersi sempre più distinguere e differenziare dal  Prosecco DOC.  Concetto assolutamente condivisibile, ma allora forse bisognerebbe che i produttori di DOCG non proponessero e vendessero il DOC nei loro listini, altrimenti come si fa a far capire al mondo al differenza?

 

Per me è difficile anche capire la differenza qualitativa  tra un buon Prosecco DOCG e un Cartizze. Guardando i prezzi di vendita il secondo dovrebbe essere molto meglio del primo, ma anche con l’annata 2014 questa differenza non l’abbiamo nemmeno vagamente percepita.

 

Invece abbiamo percepito chiaramente che il futuro del DOCG è nella tipologia Brut, che sta inesorabilmente guadagnando forti quote di mercato. Come vedrete dalle degustazioni  Brut e Extra Dry fanno la parte del leone con oltre 100 vini per tipologia, mentre Dry, Cartizze superano a malapena la trentina. I Col fondo sono pochissimi ma solo perché devono essere ancora inseriti in maniera chiara e definitiva nel disciplinare e soprattutto perché vengono ancora percepiti come vini “diversi” e da commercializzare come tali.

 

In definitiva non posso che ammettere di essere comunque fortemente attratto da questo “Paese delle Meraviglie”, che anno dopo anno continua nella sua crescita, adesso soprattutto qualitativa.  Speriamo venga affiancata da giuste scelte consortili e commerciali, altrimenti continuerà ad essere percepito “alla rovescia” e valutato commercialmente come tale.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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