E se in Valpolicella si ripassasse anche l’acqua fresca?4 min read

Sensazioni discordanti dall’assaggio dei due vini per noi più importanti della Valpolicella. Positive quelle dell’Amarone 2003 e piuttosto negative quelle sui Valpolicella 2005 (ripasso e non). Partiamo con l’Amarone che presentava un’annata difficilissima, il 2003. L’idea che ci eravamo fatti quasi 10 mesi fa all’Anteprima viene confermata dagli assaggi effettuati al Consorzio. Non siamo certamente di fronte all’annata del secolo ma l’Amarone 2003 conserva una sufficiente piacevolezza, che unita ad una gamma aromatica insperata per l’annata e la solita imponenza al palato porta ad un risultato più che apprezzabile: sicuramente il grande vino italiano uscito meglio da questa caldissima vendemmia. Crediamo ci siano alcuni motivi tecnici che spiegano il risultato, primo fra tutto il classico zucchero residuo che rende più morbidi ed abbordabili gli immaturi tannini tipici dell’annata. Inoltre l’alcolicità alta, con lo strascico di “profumo d’alcol”, è tipico dell’Amarone e tutti sappiamo che l’alcol da un parte spinge alcuni aromi volatili, ma dall’ altra copre la mancanza di certe fini gamme aromatiche, che nel 2003 è praticamente impossibile trovare.
Diciamo che (quasi per assurdo)  in annate molto calde un vino da uve passite, a cui per principio sono permessi alcuni “eccessi”, è avvantaggiato rispetto ad un vino secco. Questo ovviamente se le uve sono sane e nel 2003 questo era anche troppo vero, essendo quasi appassite in pianta in maniera “sanitariamente perfetta”. Abbiamo comunque la sensazione che i produttori di Amarone abbiano migliorato e non di poco il loro approccio tecnico con questo vino e ciò ha portato a comprendere le giuste misure enologiche da attuare in annate agli antipodi come il 2002 ed il 2003. Se dobbiamo fargli un plauso per l’Amarone, allo stesso tempo è doverosa una tirata d’orecchi per come stanno trattando il Valpolicella Superiore, ripassato o meno. Divago un attimo:  Luigi Pulci alla fine del Quattrocento scrive un poema: il Morgante. Si parla delle gesta di un gigante, Morgante appunto, e di un “mezzo” gigante, Margutte. Quest’ultimo voleva diventare un gigante ma poi, a metà dell’opera ha cambiato idea e si è fermato, diventando così un gigante incompiuto, un qualcosa ne carne ne pesce. Se oggi l’Amarone è un solare Morgante, purtroppo il Valpolicella Superiore è un incompiuto e quasi patetico Margutte. Partito per essere un grande vino si è fermato a metà strada ed il Ripasso (che oramai in Valpolicella viene fatto anche per l’acqua di fonte) non solo non gli ha dato quella marcia in più ma lo ha portato a scimmiottare, spesso i maniera quasi comica, il gigante Amarone. Non si può infatti pensare che ripassare serva da solo a dare vita, forza e profumi a qualsiasi vino. Cari produttori, se pensate che il Ripasso sia una specie di panacea enologica  mi sa che state sbagliando strada. Se il concetto imperante è “Ripassare, Ripassare, Ripassare” tra poco vi ritroverete con una scaletta di vini che, partendo dall’Amarone,  declinerà verso il “quasi-amarone” (alias Superiore) per poi chiudere con “l’amaroncino leggerino” (leggi Valpolicella). Tutta una bella gradazione di sentori amaroneggianti. La Valpolicella diventerà famosa nel mondo come la creatrice del “Volatil Style” che, per vostra disgrazia, in enologia è la cosa più facilmente copiabile. Quando poi tutto ciò verrà a noia (succederà, come è logico) vi ritroverete non con un solo vino con problemi di vendite, ma con tutta la gamma fuori mercato. Allora per riconvertirsi ai semplici profumi del Valpolicella o a quelli più complessi e fini del Superiore servirà tempo, denaro e tanti pianti.
State attenti: Oramai avete la conoscenza agronomica ed enologica per giocare su più fronti. Non vi fate incantare dalle  sirene del facile mercato, dove basta un nome ed un poco di vinacce e tutto si vende. Margutte muore in maniera stupida, per aver riso troppo. Voi spero non lo imitiate per aver chiesto troppo ad una semplice formulina enologica.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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