Degustazioni Soave: e se ci si dovesse ricredere?3 min read

Da qualche tempo girava una voce tra gli addetti ai lavori. Quasi come carbonari ci avvicinavamo l’uno all’altro sussurrando “Ma lo sai che ho assaggiato degli ottimi Soave!” Subito dopo ti guardavi intorno, ti ricomponevi e facevi finta di non aver parlato, perchè il Soave era uno dei vini più decaduti d’Italia. Nella migliore delle ipotesi non avevano profumi, erano di un bianco carta avvilente e davano le stesse sensazioni di un buon bicchiere d’acqua.

Questa è ormai acqua passata. Da alcuni anni, grazie anche al lavoro del Consorzio di Tutela, la situazione è drasticamente cambiata. Non possiamo dire che siano tutte rose e fiori ma pare assodato che la qualità diffusa non sia un segnale intermittente ma un dato accertato. “Il dato” ancora  non comprende tutto l’enorme “mare magnum”  di produttori e vinificatori, soprattutto perchè questo raggiunge l’incredibile cifra (tra  tempo pieno e part-time) di quasi 4000 unità (ho detto quattromila!!!! Tanto per darvi un dato di confronto in tutta la Nuova Zelanda vi sono meno di 600 produttori di vino).  Comunque una buona fetta di produttori e di cantine sociali oggi nel Soave svolgono un lavoro più che egregio. 

A proposito di cantine sociali: ricoprono da sempre un ruolo importantissimo in zona, considerando che quasi il 70% della produzione di uve per Soave viene a loro conferito. Quando si parla di conferimento e non siamo in Alto Adige vengono subito in mente  compensi irrisori e rese apocalittiche. La prima voce viene smentita dai fatti: mediamente nel 2004 sono stati liquidati 40€ per il Soave e 64€ per il Soave Classico: dato che si parla rispettivamente di 150 e 140 q.li ad ettaro fatevi due conti e vedrete che un produttore di uva Garganega non stia, guardandosi intorno, molto male. Sulle rese (visto anche quanto sopra detto) c’è ancora da lavorare ma Roma non è stata fatta in un giorno.

Come sapete il vitigno principe è la Garganega che si sta sempre più dimostrando adatta anche a vini importanti: accanto a questa troviamo una rivalutazione del Trebbiano di Soave ed una stasi nell’uso di vitigni non indigeni, come lo Chardonnay  ed il Pinot Bianco. Per chi vuole “scalare” il Soave tenga presente queste tre Tipologie: Soave DOC (la base) Soave Classico DOC (base ma anche con grandi altezze) e Soave Superiore DOCG (una piccola nicchia di qualità sicura). I nostri assaggi hanno toccato le tre tipologie portandoci a queste conclusioni. Il Soave DOC sta avendo un miglioramento notevole e l’annata 2005 ne è la dimostrazione: si partiva però da livelli piuttosto bassi e quindi il miglioramento sta soprattutto nell’aver vini puliti, con alcune gamme aromatiche distinte ed un corpo sufficiente a prezzi da convenire. Soave Classico DOC 2005: mediamente un’annata non eccelsa, meno concentrata del 2004 ma che comunque ha dato tanto buoni vini ma poche eccellenze. In altre parole: il 2004 ha avuto molti picchi ma anche diversi fondovalle, mentre il 2005 è un viaggio senza grosse vette ma comunque  in altopiano. Soave Superiore: abbiamo la fondata paura che questa nicchia diventi il ricettacolo di tutti i presunti grandi vini che hanno bisogno di tanto legno. Se i produttori capiranno che un Superiore si fa solo in vigna questa tipologia avrà un futuro radioso, altrimenti prepariamoci a bere legno con Garganega, con le logiche conseguenze…..

Per le foto ringraziamo la disponibilità del Consorzio del Soave.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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