Aglianico del Vulture: la strada è quella giusta2 min read

Dopo il nostro assaggio che ci ha fatto degustare una bella fetta (enoica) del territorio possiamo dire che la strada imboccata sembra quella giusta. La ricerca di un’identità tanto invocata comincia a dare i suoi frutti.

 

Nonostante la disparità di annate in esame, dal 2012 al 2006, la degustazione ci ha messo “sotto il naso” uno spaccato del Vulture che presentava un panorama confortante: nasi ormai generalmente pulitissimi, invadenza del legno quasi sempre riportata al giusto contributo che questo strumento di cantina deve dare ad un vitigno così austero, estrazioni tanniche su livelli accettabili. Insomma un percorso che sta finalmente riportando il frutto al centro di questo vino dalle potenzialità straordinarie.

 

Ridimensionati quindi i parossismi dei modernisti e le trascuratezze dei tradizionalisti e territorio sempre più in evidenza con emersione, in molti casi, delle caratteristiche che la grande diversità di terreni e altimetrie offrono ad una, seppur piccola, denominazione.

 

Piuttosto alta la media delle stelle, forse sono mancate le vette, ma sicuramente preferiamo un livello medio spostato molto verso l’alto senza picchi, piuttosto che, come spesso è avvenuto in passato, alcuni vini straordinariamente buoni e gli altri molto distanziati.

 

Un’ annotazione a nostro parere non priva di significato: tra i vini che ci hanno più colpito risultano due così detti “naturali”. Ci siamo sempre schierati per i vini buoni a prescindere ( anche se qualcuno recentemente ci ha voluto annoverare tra gli adoratori delle “sacre puzze”),  senza che dovessero sfoggiare patenti o tesserini, ma quando troviamo vini puliti e capaci di esprimere, anche con originalità, territorio e vitigni seguendo principi che prevedono un’agricoltura sana e sostenibile e una cura in cantina che miri a far emergere il vino senza giocare al piccolo chimico, ci sembra giusto sottolinearlo.

 

In ultimo tocchiamo un tasto da sempre dolente:  nonostante il miglioramento qualitativo dei vini, l’Aglianico del Vulture in particolare, stenta ad avere un  riconoscimento sul mercato in termini economici. Le cause sono molteplici, ma prima tra tutte l’incapacità di fare gruppo, di creare, anche se il termine ci piace poco, quella massa critica capace di imporsi sul mercato con una strategia comune.

 

Ancora una nota: ci fa piacere che i produttori abbiano inviato i loro vini di annate quasi “d’antan”, ma nel contempo dobbiamo anche dire che ci imbarazza recensire vini che in alcuni casi non sono più disponibili. In effetti ci è difficile comprendere perché alcuni produttori ci mandino campioni di annate passate e non dell’ultima in commercio, ma tant’è!

 

Infine un ringraziamento all’Enoteca Regionale ancora in via di organizzazione, che pur con oggettive difficoltà è riuscita ad convogliare tutti i campioni e ad offrire finalmente un supporto  logistico sino a qualche anno fa impensabile. Anche questo è un piccolo segno dei tempi che cambiano, seppur lentamente.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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