Smetto quando voglio6 min read

Ed McBain e Vasco Rossi non hanno niente in comune salvo il fatto di aver alloggiato nella mia testa, senza pagare il canone, per quasi una settimana. Purtroppo o per fortuna certe associazioni di pensieri non si governano, si combinano un po’ come gli esseri umani. A volte una dose di casualità e un po’ di fortuna rendono il risultato accettabile, altre volte meno; in ogni caso il vissuto emerge sempre, come il mio che ha preso la strada di un racconto e di una canzone.

“Smetto quando voglio” è un racconto di Ed che, se fosse vissuto in Italia, lo avrebbe senz’altro scritto utilizzando come protagonista ( al posto di Joey, tossicomane inconsapevole e assuefatto) le figure di un sommelier o di una standista al Vinitaly.

Confesso di essermi impadronito della frase“smetto quando voglio” e di ripeterla ogni volta che arriva la domenikitaly, da almeno una decina di anni. Sono fermamente convinto di possedere il controllo assoluto sulla mia volontà e di poter decidere di smettere quando mi pare, perciò mi posso permettere di dire: ancora un anno e poi basta. Spero solo, nel frattempo, di non fare la fine di Joey. “Smetto quando voglio” lo dico sempre:

• Per la sveglia alle 6,30 per arrivare da Lazise in tempo al parcheggio P3 e posizionare per primi l’auto vicino all’uscita, con l’illusione di venirne fuori prima di notte.

• Per il ritorno (25 km) nel tempo record di 3 ore e 22 minuti.

• Per le quattro ore giornaliere di arricchimento enoico trascorse affettando prosciutto, salami, salsicce, mortadella e formaggi.

• Per le due ore trascorse cercando i vini nello scaffale tra le centocinquanta valige, valigette, ombrelli(quest’anno no, per fortuna) borse e carrelli che i soci piazzano nel metro quadro e mezzo del nostro stand.

• Per il “cerchione” da processione femminile continuata ed aggravata.

• Per il dover ripetere incessantemente il ritornello “ questo vino viene da…lo fa il produttore x…e non (o si) ha fatto barriques, etc”.

• Per i  morsi alla lingua davanti ai maleducati, pena divenire tu maleducato.

• Per la speranza prima o poi di poter finalmente, dopo tanti anni, assaggiare anch’io qualche vino fuori dal mio ring.

Però però forse mai smetterò perché, tirando più seriamente un po’ di somme, c’è un gran pubblico, a volte stravagante ma con un grande cuore (qualcuna anche altro) e questo vuol dire che ognuno in fondo, al netto di ogni lamentela, ci trova la propria giustificazione.

E anche se, come in ogni luogo, maleducazione,ignoranza o semplice scortesia trovano alloggio su entrambi i fronti, non credo sia il caso di starci troppo sopra. Semmai ciò che manca è un po’ più di intenti costruttivi, finalizzati al risparmio e ad evitare sprechi. Ad esempio sul problema lavaggio bicchieri.  Tutti si lamentano che sono sporchi di tracce di rossetto, o che puzzano di cartone e altro ancora, oppure che nelle ore di punta scarseggiano. Forse basterebbe che ognuno conservasse il proprio bicchiere almeno finché resta nel medesimo padiglione. Si eviterebbero sprechi di energia e acqua.

Lo stesso per i tappi: nessuno li raccoglie per riciclarli ma esiste un programma del consorzio Rilegno che ne prevede il riutilizzo. E poi c’è lo spreco del vino, che per certi versi è inevitabile, ma credo che almeno nell’ultimo giorno si possa contenere.

Penso si debba abolire il divieto al pubblico di portare fuori dalla Fiera le bottiglie di vino aperte. A me toccano nel cuore le persone, spesso anziani e poco abbienti, e di sicuro non “scalmanati ubriachi”che il Lunedì fanno questua di bottiglie, e non si capisce bene perché si debba negare loro quell’attimo di gioia che, in fondo, il vino è li apposta per trasmettere.

In conclusione, nonostante la stanchezza accumulata sia talmente tanta che anche il sonno si guarda bene dall’avvicinarsi,  e le pecorelle che di solito saltano con energia,si muovano oramai con il passo del bradipo sedato, non posso dire siano mancati i momenti di gioia. Quando gli amici ti vengono a trovare, quando un visitatore ti sorride, e anche quando riesci a dare un volto al mistero più fitto che ha animato i blog nell’ultimo anno. E anche quando ripensi ai fatterelli più gustosi della settimana. Eccovene un estratto secco.

* una ragazza cinese si è avvicinata, ha preso in mano un bottiglia di vino della Fattoria Zerbina, il Sangiovese Ceregio e mi ha chiesto: ..tu spiegare in italiano che uva è fattolia Zelbina, plego..

* una coppia di fidanzatini alla Peynet si avvicina con aria timida e chiede: qual’ è il vino più adatto al nostro matrimonio?

* una P.R. dalla chioma leonina,alta 190 cm, con il seno “moplen”, si è presentata il primo giorno e, sbattendo le ciglia a ventaglio, mi chiede se, in futuro, potrà essermi utile. Penso: il supplizio di Tantalo è una passeggiata di salute.

* all’incirca lunedì pomeriggio la ventimilionesima persona si avvicina e mi chiede, dopo aver guardato attentamente bottiglie e cartelli indicanti le tipologie servite.” Mi dia un bicchiere di Lambrusco”. Lo invito a recarsi al banco dell’Enoteca Regionale, ma devo essere giù di voce, oppure il suo amplifon ha le pile scariche  perché il tizio non si schioda e continua  guardarmi con espressione furba. Allora gli servo un Pagadebit frizzante. Quello tracanna soddisfatto e se ne va ringraziandomi. Ma non era la giornata degli operatori e dei sommeliers?

* domenica verso l’ora di pranzo, una coppia di signori dall’aria perbene si accosta e, guardando i piatti dei ciccioli posti sul banco, chiede se può approfittarne. Acconsento e chiedo se vogliono assaggiare qualche vino romagnolo. Dall’accento intuiscono possano essere veneti, e mi accingo a scegliere un bel vino bianco di corpo quando mi sento dire: “ah, no grazie, siamo astemi e poi abbiamo problemi di pressione e colesterolo, mi dia piuttosto un po’ d’acqua”. Rifletto: ma allora è proprio vero che i ciccioli sono la parte più magra del grasso.

Siamo all’epilogo del Vinitaly 2011, nel momento esatto che il serbatoio di energia, pazienza, cortesia, disponibilità e sorrisi segnala rosso fisso. In attesa di fare il pieno per l’anno prossimo mi riecheggiano in testa, come ogni sera quando affronto la prova parcheggio,  le parole di Vasco Rossi. “Eh, già, sembrava la fine del mondo e invece siamo ancora qua!”  

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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