Romagna Sangiovese, vedi Sangiovese di Romagna5 min read

Agli attenti lettori della Gazzetta Ufficiale non sarà certo sfuggita l’importanza della  n° 235 dell’8 ottobre 2011.

In esso si ufficializza, anzi si “decreta” il riconoscimento della nuova DOC Romagna. Ciò a conclusione di un lungo iter burocratico e di un prolungato quanto sofferto e passionale dibattito tra i produttori che ha contraddistinto il periodo antecedente l’inoltro della richiesta di modifica.

Il nuovo disciplinare, (in vigore già dalla vendemmia 2011) a detta del Presidente del Consorzio Vini di Romagna, Giordano Zinzani, “…non ha stravolto le denominazioni che conosciamo da anni, ma le ha solo unificate in un unico documento,

anteponendo la parola Romagna al vitigno..”  I cambiamenti, comunque li si voglia considerare, riguardano tutte le precedenti denominazioni romagnole, fatta eccezione per i Colli di Faenza e Colli della Romagna Centrale che sopravvivono indisturbate a fianco della nuova.

C’è poi da segnalare che i produttori imolesi e riminesi, non avendo raggiunto un accordo, non potranno utilizzare la denominazione Romagna e dovranno continuare ad imbottigliare con l’etichetta Colli di Imola e Colli di Rimini. Viene da chiedersi se, intendendo promuovere con maggior efficacia il territorio romagnolo riunendolo sotto un’unica denominazione, non fosse anche il caso di semplificare ulteriormente eliminando i doppioni, ad esempio le succitate doc Colli di Faenza e della Romagna Centrale la cui esistenza di certo non contribuisce alla ventilata necessità di chiarezza.

Non è un segreto che quando si mette mano a un disciplinare di produzione, è perché qualcosa del precedente non soddisfaceva più. E anche se poi, come spesso accade, il risultato genera un’identica quantità di insoddisfazione (essendo, come è logico, il frutto di compromessi) bisogna sempre avere in mente che l’autodeterminazione è un diritto dei produttori.

Vediamo ora le modifiche più rilevanti rispetto ai due vitigni simbolo, l’Albana e il Sangiovese. Dopo quasi un quarto di secolo dal riconoscimento della DOCG Albana, cade l’inviolabilità del vitigno in purezza e la modifica al disciplinare consentirà l’impiego di altre uve bianche fino al 5%. 

Una decisione impopolare tra i produttori stessi, alcuni dei quali considerano il “monovitigno” nella doc Albana, un patrimonio oramai consolidato. Altri ovviamente pensano di aumentarne, specie nelle versioni in secco di per sé scarsamente dotate, il corredo aromatico e di poter così conquistare più clienti. All’argomentazione che l’introduzione di altri vitigni porterà al vino Albana un maggior gradimento sui mercati, si oppone chi pensa invece che questa visione finirà per far perdere i connotati specifici e le potenzialità che il vitigno, specie in versioni passite e vendemmia tardive, ha dimostrato di possedere.

Per non privarsi di nulla c’è anche chi motiva che il cambiamento sia stato fatto a titolo “preventivo”, onde evitare situazioni tipo “Brunellopoli”. 

 

Passando al Sangiovese, vediamo in sintesi i cambiamenti più significativi rispetto ai precedenti disciplinari:
La base produttiva del Romagna Sangiovese e  del Romagna Sangiovese Superiore hanno ora una unica zona di produzione, quella precedentemente prevista per il Sangiovese di Romagna.

Per il Romagna Sangiovese sono state introdotte 12 sottozone, chiamate menzioni geografiche aggiuntive, identificando e delimitando i migliori vigneti romagnoli. Chi è all’interno di queste aree è autorizzato a produrre anche la tipologia “riserva”. Le zone sono: Bertinoro, Brisighella, Casrocaro-Terra del Sole, Cesena, Longiano, Meldola, Modigliana, Marzeno, Oriolo, Predappio, San Vicinio, Serra. La sottozona Bertinoro è utilizzabile solo ed esclusivamente per il “Romagna Sangiovese riserva”.

Sulle rese c’è qualche piccolo cambiamento: aumentata quella del Romagna Sangiovese e Romagna Sangiovese novello a 12 ton., mentre quella del Romagna Sangiovese Superiore è stata ridotta a 10,5 tonnellate; la resa dei Romagna Sangiovese delle sottozone è di 9 tonnellate; 8 tonnellate invece per le tipologie riserva. I vini delle sottozone sono immessi al consumo dal 1° settembre dell’anno successivo a quello di raccolta delle uve; dal 1° settembre del terzo anno successivo all’anno di raccolta delle uve invece per le tipologie “riserva”, con obbligo di affinamento in bottiglia di almeno 6 mesi.

Bene, onde evitare che perdiate vista e pazienza nell’esaminare al microscopio i disciplinari, posso garantirvi (oramai va di moda il sigillo di garanzia) che la sostanza è questa, ma…..Ma se da una parte è apprezzabile il lavoro di “ricamo” fatto per ricavare le 12 aree, seppur con qualche palese incongruenza(vedi Serra, Oriolo e Predappio) dall’altra l’aver tolto l’obbligo di affinamento in bottiglia (che era di due mesi) nelle tipologie Romagna S. e Romagna S.Superiore è fortemente criticabile.

Come è criticabile l’aver introdotto la possibilità di lasciare un residuo zuccherino di 10 gr/litro. Non può reggere la giustificazione che i mercati anglofoni richiedono da noi vini morbidi e rotondi, quando il mondo è pieno di questi esempi che, tra l’altro, paiono in declino.

I nostri territori, a mio avviso, sono più adatti a fare vini di carattere, profondi e affilati, a volte scorbutici, ma se si vuole più maturità e rotondità nei vini, queste andrebbero “predisposte” nel vigneto piuttosto che aggiustate in cantina.

Naturalmente, pur sostenendo che un paio di grammi in più di coraggio in soccorso a quella parte di produttori maggiormente tesi alla ricerca di una identità territoriale più marcata, avrebbe giovato al neo-nato disciplinare, non ci sottraiamo dal fare gli augurio di pronta guarigione al malato vino, sperando che la cura introdotta con le nuove regole dia i risultati che i produttori si aspettano. Un eventuale successo di vendite, sono quasi certo, finirà con il rendere meno serrato e più sereno il confronto tra i piccoli vignaioli e le grandi cooperative, le due anime del mondo vitivinicolo romagnolo i cui interessi, per ora, non paiono collimare. Attendiamo con ansia la prossima modifica, quella che renderà obbligatorio la maturazione delle Riserve in contenitori di legno. 

 

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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