Marsala, un grande avvenire dietro le spalle4 min read

Ringraziamo il caro amico Andrea Gabbrielli per questo contributo su un vino molto discusso: il Marsala.

Non credo di avere mai letto tanto sul Marsala come nelle ultime settimane. Il merito di questo interesse va ascritto a Fabrizio Carrera, direttore del sito Cronache di Gusto, ( vedi www.cronachedigusto.it) che in articolo dal titolo significativamente provocatorio “ Quel vino Doc per la Simmenthal “ ha sollevato non poche questioni sullo stato dell’arte del famoso vino siciliano. Che in realtà tanto in salute, ormai da molto tempo, non è. Per dirla in estrema sintesi, i Marsala d’eccellenza – e ce ne sono- rimangono irrimediabilmente schiacciati da quelli che solitamente vengono impiegati in cucina o appunto, come aromatizzanti/conservanti per la carne in scatola. Ma visto che ad intervenire sono stati in parecchi, dai professori Attilio Scienza a Mario Fregoni ( quest’ultimo ha proposto di fare Marsala Rosato o Spumante), da Marco De Bartoli a Mario Pojer oltre a Rizzo e Stella sul Corriere della Sera e tanti altri ancora, il consiglio – per chi volesse approfondire – è di consultare il sito. I giudizi nei confronti del Marsala sono stati a dir poco sferzanti: “un cadavere, un trucco enologico (Scienza)”,  “in totale confusione ( F.M. Ricci)” , “ una Doc morta ma solo dal punto vista tecnico ( M. De Bartoli) ”, sono solo alcuni dei commenti più benevoli. 

Proviamo a spiegare qualcuno dei problemi che lo affliggono. Intanto qualche numero. Attualmente i dati dimostrano che dai circa 94.000 hl passati al vaglio della CCIAA di Trapani nel 2004, si è arrivati nel 2009 a circa 73.000 hl confermando un trend, che a parte qualche raro picco – nel 2003 si superarono anche i 110.000 hl ( Fonte Consorzio) – è in calo costante. Le 13 aziende consorziate in sostanza commercializzano il 90% della produzione ma a loro volta, le sole Florio e Pellegrino, ne vendono il 45% (Fonte Torcivia). La stragrande parte del Marsala è un vino più o meno dolce che non ha grande appeal. Il fascino e il mito di questo vino, è appannaggio di una piccola frazione nell’ambito del 30% produzione che appunto riguarda le tipologie di più alto profilo (Vergine e Superiore). Il disciplinare – anche se il Marsala non è solo una doc ma nasce da una legge dello Stato- non aiuta. Basti pensare che incrociando le varie possibilità tra colore, contenuto in zuccheri e invecchiamento, sono oltre una trentina le tipologie produttive possibili. Una diversificazione che per un prodotto che “non tira”, serve a molto poco.  La gradazione alcolica elevata è un retaggio di una tradizione che oggi non ha più ragione di essere: ai tempi di Nelson, che continuamente viene citato a proposito del Marsala, l’etilometro non era ancora stato inventato e anche il lavoro dei marinai era molto “diverso” così come gli stili di vita.

La rivoluzione potrebbe proprio essere quello di farlo tornare ad essere più che un vino prodotto in cantina, un vino che nasce nel vigneto, recuperando così un’identità oggi difficile da riconoscere. Una cosa è certa. Considerare le critiche, seppur in qualche caso molto al di sopra delle righe, come un attacco al Marsala e alle sue tradizioni, sic et simpliciter, rinchiudendosi a riccio per difendere l’attuale situazione, sarebbe poco lungimirante. Invece andrebbe colta l’opportunità che questa discussione ha innescato, per cogliere ciò che di interessante e di propositivo esiste e partire da qui per mettere le basi di  un rinnovato Marsala. I tempi cambiano, le leggi pure: i grandi vini non sono mai troppi.

 

 

 

Nota: il Bignami del Marsala

 

Esistono due grandi famiglie, i Marsala Vergini ed i Marsala conciati. I Vergini nascono dall’alcolizzazione delle basi vinose fino ai 19 gradi alcolici ed un affinamento successivo in legno pregiato per cinque o dieci anni almeno. Nel primo caso avremo il Marsala Vergine, nel Secondo il Marsala Vergine Riserva. I Marsala conciati invece sono ben ventisette, forse un po’ troppi, ma questo numero nasce dalla combinazione di tre diverse classificazioni. Una riguarda la natura degli ingredienti, così avremo i Marsala Oro (se conciati con vino, alcol e moto alcolizzato), i Marsala Ambra (se oltre ai tre ingredienti citati si utilizza anche il mosto cotto) ed i Marsala Rubino (se le basi vinose utilizzate provengono, almeno in misura del 70% in volume, da vitigni a bacca nera quali Nero d’Avola, Nerello Mascalese, Perricone ed altre tipologie autorizzate e sempre con il vincolo d’origine). Un’altra classificazione riguarda invece il quantitativo zuccherino totale della concia, così i Marsala saranno secchi con meno di 40 grammi al litro di zuccheri, semisecchi ce ci si attesta tra i 40 ed i 100 grammi al litro e dolci oltre questo limite. Infine la terza classificazione verte sull’affinamento in legno della concia. Il Marsala fine permane in legno solo un anno, quello superiore almeno due, quello superiore riserva almeno quattro anni. ( Fonte: Consorzio di tutela )

Andrea Gabbrielli

Quello che hai appena letto è un post scritto da un ospite speciale per Winesurf, che non troverai costantemente nel giornale.


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