La prima lama solleva il pelo, la seconda lo taglia, la terza gode4 min read

Da piemontese di nascita e di fede (quantomeno enologica), sono sempre stato diffidente nei confronti dei vini toscani. Non che non mi piacciano, ma umanamente devo ammettere che parto più ben disposto all’assaggio, sapendo che nel bicchiere c’è Piemonte: se si potesse visualizzare sulla mia testa un ideale termometro della predisposizione all’assaggio con una scala che va da 60 a 100, credo che mostrerebbe 4 o 5 gradi in più in partenza, specie per un Nebbiolo. Forse perché lo bevo dalla nascita (ma non credo sia questo) o forse perché lo sento più vicino a me come carattere, ma meglio evitare le introspezioni psico-enoiche alla “Sideways”: a proposito, sapete mica chi è quell’idiota che ha scritto i dialoghi in italiano?…

Con questi presupposti, al Vinitaly mi accingevo ad assaggiare i vini dell’azienda Le Presi: Gianni Fabbri, il proprietario, mi disse subito che il Brunello 2002 non lo aveva imbottigliato, o meglio, lo aveva imbottigliato, ma poi al momento dell’immissione sul mercato ha preferito declassarlo, perché non se la sentiva di garantirne l’integrità negli anni, che dev’essere invece propria del Re di Montalcino. Il 2002, si sa, non è stato un grande anno da quelle parti, ma un produttore che decide di non uscire con il suo Brunello non è comunque cosa comune, nemmeno in un anno così.

Ad ogni modo: il quasi-Brunello 2002 si chiama “L’Abate”, ed è l’etichetta a cui Gianni ricorre nelle annate in cui non è pienamente convinto del suo Brunello: esce a € 6 franco cantina, e devo dire che per un praticamente-Brunello di questa qualità è un gran comprare (prima lama). Provai anche il Rosso 2003 (seconda lama) e il Brunello 1999 (goduria!) e mi convinsi che l’azienda aveva bisogno di essere “assaggiata” con più attenzione.

Con Gianni e Federico (che da poco si occupa delle esportazioni), ovvero con il personale dell’azienda al gran completo, organizzammo una degustazione a casa loro, alla quale far partecipare anche i miei colleghi toscani, incluso il Macchi, perché si veda pubblicamente che noi lo trattiamo come se fosse normale.

Arrivammo da Gianni e visitammo subito la cantina: piccola biblioteca dei vini aziendali dal 1978 in poi (lungimirante davvero per una cantina così piccola), botti grandi da 20 ettolitri e nemmeno una barrique in vista: erano ottime premesse. Gianni e Federico avevano pensato di degustare 11 vini in sequenza di annata dal 2002 indietro fino al 1992. Il primo e l’ultimo erano due “L’Abate”, mentre dal 2001 al 1993 erano Brunello di Montalcino: senza saltare un annata, per poter apprezzare al meglio le peculiarità delle stesse e l’evoluzione dei vini.

Per i dettagli sulla degustazione vi rimando nella sezione apposita, ma qui vorrei fare qualche considerazione di massima:

 

  1. Sono contento di aver constatato che Montalcino può ancora riservare delle grandi sorprese, che non siano necessariamente la cantina aperta l’altro ieri da un magnate del petrolio che ha a disposizione dei capitali infiniti e la consulenza dell’enologo di grido
  2. Sono contento di aver assaggiato vini che, nel bene e nel male, mostrano onestamente quello che il Sangiovese (e il Sangiovese da solo) ha saputo/potuto dare nelle rispettive annate, senza dover ricorrere a “lifting” extra-varietali non del tutto sconosciuti nella zona (approfondiremo l’argomento in futuro, promesso)
  3. Sono contento di aver bevuto vini che mi sono piaciuti (molto) e che io stesso (non esattamente Paperon dè Paperoni) riuscirei a comprare
  4. Sono contento e basta.

Ma allora perché ci si occupa e si parla sempre dei soliti noti? Perché hanno più risonanza (e di conseguenza più mercato) dei Brunello che se in paradiso incontrassero San Giovese non lo riconoscerebbero nemmeno?

Spero di poter parlare presto di altre aziende come questa: piccola, vera e onesta (fa anche rima), perché questo tipo di produttori sono quelli che fanno bene al mondo del vino.

Ora potrei raccontare che l’azienda è stata avviata dal papà di Gianni, il signor Bruno, nel 1970 e che Gianni ha preso la guida della cantina dal 1998, ma che fra un vino pre-Gianni e post-Gianni c’è  assoluta continuità stilistica e, visti i vini, questo è un complimento per entrambi, padre e figlio.

Potrei anche dire che le etichette sono molto tradizionali e praticamente invariate da sempre: solo a guardarle sai che il vino non sa cosa sia una barrique.

Potrei aggiungere tanti altri dettagli, ma veramente basta dire una cosa: assaggiate questi vini, qualcuno è “solo” molto buono, qualcuno entusiasmante, ma ogni bottiglia stappata è sicuramente una bottiglia finita. E anche questo, di questi tempi, è un gran complimento.

 

Andrea Sturniolo.

 

Redazione

La squadra direbbe Groucho Marx che è composta da “Persone che non vorrebbero far parte di un club che accetti tipi come loro”. In altre parole: giornalisti, esperti ed appassionati perfetti per fare un lavoro serio ma non serioso. Altri si aggiungeranno a breve, specialmente dall’estero, con l’obbiettivo di creare un gruppo su cui “Non tramonti mai il sole”.


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