Una degustazione dall’annata 1988 in poi del Poggio l’Aiole, il Canaiolo in purezza (che non ha mai visto legno) dell’azienda Modanella ripropone l’utilizzo di questo vitigno forse precocemente “pensionato” dai produttori toscani.
Forse ci credevo solo io: Alessandro e Pierlorenzo mi avevano accompagnato alla degustazione spinti soltanto dalla inevitabile curiosità. In effetti assaggiare 10 annate di Canaiolo in purezza, che spaziano quasi in un ventennio, non è cosa da tutti i giorni. Da qui a pensare di trovare dei vini ancora in buone condizioni il passo era lungo.
Modanella, produttore del vino “inquisito”, si trova in una zona assolutamente secondaria per la viticoltura toscana: Serre di Rapolano, Rapolano, Sinalunga, Foiano della Chiana sono alcuni dei paesi vicini che spiccano per essere assolutamente sprovvisti di vigneti di qualità (se non proprio di vigneti). In mezzo a questo niente enologico, attorniato da oltre 600 ettari tra bosco e seminativo, si trova il borgo di Modanella. Tra i molti casali ristrutturati ed i quasi 30 ettari di vigneto (Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon) c’è la nostra piccola perla: alcuni ettari di Canaiolo da sempre vinificato in purezza. La vigna (l’altra è stata spiantata lo scorso anno e verrà ripiantata nel 2007 con barbatelle di selezione massale) adesso è poco più grande di un ettaro, con viti intorno ai 25 anni. La forma di allevamento è in massima parte a cordone speronato e la densità è attorno alle 3600 piante (oggi forse 3200 a causa del mal dell’esca). Questo vino ci aveva incuriosito con l’annata 2002 ed assolutamente stupito con il 2003. Per questo avevo fatto ai titolari la “proposta indecente” di andare indietro negli anni e vedere che cosa succedeva. La richiesta non li ha scomposti minimamente, vista la fiducia che da sempre ripongono in questo vino.
La batteria prevedeva, in ordine crescente di annata: 1988, 1990, 1994, 1995, 1997, 1999, 2000, 2001, 2003 e 2004.
Prima di iniziare l’assaggio il nostro pensiero è andato al Canaiolo come lo conoscevamo: un vitigno complementare nel Chianti, apportatore di profumi ma anche di tanti problemi agronomici, vista la difficoltà di coltivazione da sempre sostenuta dai produttori. I miei due compagni di degustazione trattenevano bene il loro scetticismo ma io capivo che mi stavano (assieme al vino) aspettando al varco.
Sono bastate però poche sniffate ai primi due vini serviti (1988 e 1990) per rovesciare la situazione e rendere l’assaggio uno dei più interessanti ed intriganti degli ultimi mesi. Le note degustative le troverete nella loro sezione ma credo giusto parlare dei risultati in generale. Ci siamo trovati di fronte a vini perfettamente integri, fortemente avvolgenti per complessità ed intensità aromatica. Alcuni avevano anche un corpo inaspettato, che però portava anche a tannini leggermente amari nel finale. Per quanto riguarda le annate più vecchie (1988 e 1990) tutti abbiamo detto la stessa cosa: “Magari trovassimo Brunelli, Nobili o Chianti Classico di queste annate così in salute!!!”
Per le annate intermedie siamo rimasti tutti strabiliati dei profumi che uscivano dal bicchiere: note balsamiche, speziate, ma anche fruttate. Un carattere ricorrente erano i profumi della macchia mediterranea, spesso delineati con finezze assolute. Nelle annate più recenti prevale la frutta ma ritornano le oramai classiche note balsamiche.
Per farla breve: ci siamo trovati davanti a vini che non temono l’invecchiamento, che anzi lo richiedono, sviluppando aromaticità di altissimo timbro.
IL ricordo del Canaiolo “ancient regime” si è dissolto in questi bicchieri sorprendenti ed adesso sorgono spontanee alcune domande:
Perché, se questo è il Canaiolo, quasi tutti lo hanno abbandonato?
Che tipo di Canaiolo è questo?
Quale era il Canaiolo normalmente utilizzato in Chianti e per il Chianti?
Cosa c’era e c’è di sbagliato nella coltivazione di questo vitigno?
Adesso credo proprio di sapere cosa state pensando. Voi dubitate che quell’ettaro o poco più sia realmente Canaiolo. Del resto come si fa a conoscere bene i suoi profumi quando praticamente
nessuno lo vinifica in purezza ( o non lo vinifica del tutto). Anche noi eravamo vagamente dubbiosi e per questo abbiamo pensato di fare la prova delle prove. Siamo andati dalla memoria storica del Chianti, dal grande vecchio dell’enologia toscana: Giulio Gambelli.
Gli abbiamo proposto, in una degustazione bendata, di riconoscere quale vino fosse fatto con del Canaiolo. Tra otto campioni non ha avuto dubbi ed ha subito individuato il Poggio l’Aiole 2003. Ma non si è fermato qui ed ha aggiunto “Erano cinquant’anni che non sentivo profumi di Canaiolo come questi”.
A questo punto neanche San Tommaso potrebbe avere dubbi.
Il prossimo passo sarà quello di sottoporre ad alcuni agronomi che lavorano in Toscana una serie di quesiti sul Canaiolo, questo “desaparecidos” così intrigante. Vi faremo sapere.