Dolcetto 2006: contraddizioni e possibilità.3 min read

La terza edizione di "Dolcetto & Dolcetto" che ha avuto il suo centro ad Alba dal 3 al 5 settembre, come sempre ben organizzata da quella  perfetta macchina che è la Wellcom, ha permesso al sottoscritto di rafforzare alcuni punti fermi nel suo rapporto con questo vino rosso piemontese.
In primis la convinzione che “sic stantibus rebus” (oggi ho il latino facile) il Dolcetto resterà relegato in quel triangolo commerciale  che ha come estremi Torino, Genova e Milano. Un prodotto  che di fatto è il terzo-quarto vino per la stragrande maggioranza delle aziende che lo hanno in catalogo (superato nella testa del produttore e sul mercato da Barolo, Barbaresco, Roero, Barbera ed in qualche caso da vitigni a bacca bianca), che pensa bene di presentarsi al mondo diviso in quasi dieci denominazioni, che da giovane ha grandi pregi e per questo spesso viene venduto da molti dopo 3-4 anni, come spera di trovare una collocazione al di fuori di quei mercati che lo hanno sempre bevuto?
Eppure è un vero peccato! Personalmente adoro il Dolcetto giovane, profumato, vinoso, rotondo, giustamente alcolico e fondamentalmente poco impegnativo: il classico vino di cui puoi bere una bottiglia in due e vivere felice. Questa tipo di dolcetto non è però il metro su cui i produttori vogliono parametrarsi. Tra le denominazioni principali forse solo Diano D’Alba punta su vini profumati ed immediati. Il Dolcetto d’Alba infatti porta la firma dei produttori di Langa ed ognuno lo interpreta a modo suo, creando più un vino ad immagine aziendale che del vitigno. Ne assaggi settanta e non ci trovi un filo conduttore: si va dal grasso-opulento all’esile-profumato, passando per una quasi infinita serie di sfaccettature e modelli. A Dogliani invece si punta quasi esclusivamente sulla potenza. Non per niente è stata creata la DOCG Dogliani (senza il nome Dolcetto) che quasi sempre presenta dei vini molto strutturati ed alcolici senza però buona parte dei profumi caratteristici del vitigno. Su Dogliani però bisogna stare attenti e dare a Cesare quello che è di Cesare. Sono infatti l’unico nucleo di produttori che coltivano Dolcetto come primo vitigno aziendale. Ci credono e devo ammettere che una passione ed una fiducia del genere meriterebbe risultati commerciali migliori. Forse non faranno il mio Dolcetto ideale ma tanto di cappello per l’impegno e la costanza che ci mettono. Il punto principale che ci divide riguarda la longevità del vitigno: per loro può maturare per diversi anni e per me no. Pur rimanendo in generale del mio avviso devo però ammettere che una verticale dei Dolcetto di San Fereolo sino all’annata 2000 mi ha stupito non poco. In particolare proprio quell’annata aveva ancora una freschezza in bocca e soprattutto una terziarizzazione complessa ed elegante che non mi sarei mai aspettato.
Ma veniamo ad un breve commento ai risultati delle degustazioni, (che saranno on line tra qualche giorno). L’annata 2006 ha meno profumi ma più corpo del 2005. Questa caratteristica si acuisce su Alba e Dogliani (quest’ultimi veramente molto alcolici) e si stempera per Diano d’Alba. Comunque siamo su vini ben fatti che i produttori sono riusciti a rendere più refrattari ad uno dei problemi cronici del vino: una forte riduzione in bottiglia. A proposito di riduzione: quella dei prezzi, specie a ristorante o  in enoteca  è latitante. Ben pochi infatti, anche nel triangolo suddetto, acquisteranno dolcetto a ristorante se lo trovano intorno/sopra ai 20 € o in enoteca verso 13-14. Poi possiamo fare tutte le belle manifestazioni di questo mondo ma se non si trovano dei comuni denominatori sui prezzi non vedo un futuro roseo per questo vino-vitigno. Dal futuro al presente per chiudere: la vendemmia 2007 dei Dolcetto( in corso nei giorni della manifestazione) non sarà certamente fenomenale ma almeno darà vini con grado alcolico non elevatissimo e quindi, almeno in teoria, più bevibili….anche fuori dal triangolo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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