Brunello 2002: come si fa ad essere soddisfatti?3 min read

Forse sarebbe stato meglio non parlare dei Brunello nati dalla tremenda vendemmia 2002. Visto però che oltre il 70% delle aziende montalcinesi ha deciso di produrlo noi non possiamo esimerci dal valutarlo. Il primo commento è su questo dato, che ci ha fatto strabuzzare gli occhi, visto che abbiamo vissuto in prima persona quella tremenda vendemmia, dove a mesi quasi nella norma, come giugno e luglio, seguirono  un agosto ed un settembre da tregenda. I grappoli arrivavano in cantina gonfi d’acqua (nella migliore delle ipotesi) con ben poche speranza di trasformarsi in quel grande vino da invecchiamento che dovrebbe essere il Brunello di Montalcino. 

Un vecchio proverbio toscano recita “In discesa tutti i santi aiutano”. Noi, per presentare quest’annata lo modifichiamo in “In cantina tutti i santi aiutano”. In effetti non si riesce a capire come in molti casi ci si sia trovati di fronte a sangiovese in purezza con colorazioni quasi porpora, profumi e rotonde morbidezze degne di merlot australiani di ottima annata. La legge permette un ringiovanimento con altro sangiovese aziendale fino ad un 15% e sicuramente si dovrà a questo sia colore che struttura e corpo. Forse però sarebbe stato meglio non eccedere, mantenendo basso il profilo di un’annata bassa. Chi invece ha mantenuto un  profilo equilibrato ha proposto quasi sempre vini non certo entusiasmanti ma corretti e ben fatti, con alcune punte interessanti.

Ma torniamo agli “eccessi” approcciandoli da un altro punto di vista. Quasi tutti i produttori di Montalcino che hanno risposto al nostro questionario sulle Commissioni d’assaggio (vedi "Commissioni di assaggio: ecco i veri problemi!") hanno evidenziato come un problema quello di una scarsa ricerca della tipicità e/o rispondenza al vitigno. L’annata 2002 ne è l’esempio lampante. Non vogliamo puntare il dito contro singoli ma alcuni campioni (porpora, profumi di prugna matura, grassi e morbidi al palato) ci sono sembrati molto, ma molto lontani dalla nostra idea di sangiovese, nonché estremamente improbabili da ottenere in annate come il 2002. Forse una maggiore vigilanza in commissione andrebbe a vantaggio di tutta la denominazione.

Altro discorso per la Riserva 2001, dove abbiamo trovato sangiovese di altro livello. Molti dei vini assaggiati hanno evidenziato un’ottima rispondenza al sangiovese dell’annata, accoppiata ad una freschezza e ad una profondità che fanno ben sperare per il futuro. In molti casi siamo però su prezzi da affezione, specie per vini che in fondo sono dei Brunello invecchiati un anno in più. Capiamo che il numero di bottiglie è limitato ma forse occorrerebbe darsi una calmata.

Sul Rosso di Montalcino 2005 ci sentiamo di fare la stessa proposta fatta a suo tempo per il Rosso di Montepulciano. Fermo restando infatti la possibilità di usare solo Sangiovese, forse potrebbe essere il momento di legare a questo vino anche l’opportunità di utilizzare altre uve. Peroriamo quindi la nascita di un Rosso di Montalcino DOC più aperto verso la modernità e/o altri vitigni ed un Rosso di Montalcino Sangiovese DOC (o Sangiovese di Montalcino) più ligio alle caratteristiche ed alla storia del vitigno locale. Si potrebbe così consentire a chi vuole e ne ha la possibilità di proporre vini più rotondi ed armonici, mentre altri potrebbero tranquillamente mantenere sangiovese con punte di austerità più marcate. Questo per dare una maggiore linearità ad una denominazione che ci sembra presenti notevoli diversità di interpretazione.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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