Trovata “l’impronta digitale” del vino2 min read

Consiglio per i leggenti. Prima di avventurarsi in questo articolo sarebbe meglio leggere “L’ Epifania dello stronzio” (link) di Pierlorenzo Tasselli.
Questo perché nell’altro articolo avrete tutte le informazioni tecniche relative agli studi del professor Conticelli dell’Università di Firenze, mentre qui di seguito cercherò solo di commentare da comune mortale un tipo di analisi semplicemente rivoluzionaria,  che potrebbe veramente dare certezze a consorzi, enti di tutela, repressione frodi, NAS e, non ultimi, i consumatori.

In soldoni questa tecnica di analisi, se sviluppata ulteriormente, riuscirebbe ad individuare  tracce caratteristiche del  terreno (una vera e propria impronta digitale) da cui proviene un’uva o un vino. Questa impronta digitale si ritroverebbe poi  “ pari pari” nel vino finito. Questo permetterebbe di provare, oltre ogni ragionevole dubbio, se in quel Barolo, Brunello, Amarone, tanto per fare tre nomi, vi possano essere uve provenienti da altri territori, magari del sud Italia. Le analisi potrebbero infatti trovare un isotopo tipico del terreno del Vulture, o dell’Abruzzo, o del Salento (ma non della Langa, di Montalcino o della Valpolicella)  che stabilirebbe in maniera incontrovertibile la presenza di un “inciucio”.

Non si potrà dire se in quel Sangiovese c’è del Merlot o del Lagrein, ma si potrà affermare con certezza che una parte di quel vino proviene da un territorio diverso da quello autorizzato dal disciplinare di produzione. Come potete capire la cosa è grossa, talmente grossa che quando il Professor Conticelli  ha presentato lo studio in due convegni importanti, nessuno del mondo del vino è andato a chiedergli chiarimenti.

Ma ci pensate…. tutto il vino che gira in cisterne per l’Italia (quello illegale ovviamente) potrebbe essere segnalato e riconosciuto con alcune semplici analisi dal costo non certamente proibitivo. Ai Nas basterebbe andare in cantina (o al supermercato) , prelevare una bottiglia di vino e farla analizzare per capire da dove viene il vino che c’è dentro.

Questo, purtroppo, in un futuro non molto vicino. Infatti gli studi del professor Conticelli mancano ancora di una mappa completa degli isotopi/terreni di molte zone d’Italia ed inoltre il sistema di analisi deve essere ulteriormente affinato. Ci sarebbe quindi bisogno di investimenti che, in un mondo del vino che non ha scheletri nell’armadio, potrebbero arrivare da singoli consorzi di tutela,  da Federdoc o addirittura dal Ministero dell’Agricoltura e scusate se mi sono scordato qualcuno.

Secondo voi, quanti milioni di euro riceverà in futuro il professor Conticelli per sviluppare questo progetto? Si accettano scommesse.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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